Di Pietro si porta in casa la macchina del fango

Giulio Bucchi

Prima dobbiamo consumare un po’ di facile ironia, perché un Di Pietro che dice «la cultura non è una priorità» voi capite che insomma, la risata prorompe anche tra radiazioni e guerre. «La cultura non è una priorità»: aspettando che Di Pietro tuoni nuovamente contro i tagli alla scuola, vien da rispondergli che l’avevamo capito, che ce n’eravamo accorti, che è da tutta la vita (la sua) che la cultura e neanche l’alfabeto paiono una priorità. Ma tocca risalire all’antefatto, che è questo: il responsabile cultura dell’Italia dei Valori, professor Nicola Tranfaglia, ha mollato il partito e ha denunciato una gestione «che non ha nulla a che fare con il merito e la competenza» giacché concerne «un partito troppo personale, o meglio un partito personale e familiare, governato con pugno di ferro da Di Pietro e da una schiera di amiche e parenti». Vien da rispondere che c’eravamo accorti anche di questo, così, per sentito dire. Ma Tranfaglia ha proseguito: «Un mese fa la tesoriera del partito, Silvana Mura, mi ha comunicato che avevano deciso di sospendere il mio esiguo rimborso spese per improvvise difficoltà economiche». Sempre soldi. E poi? «Volevo spiegare a Di Pietro la strategia culturale che avevo in mente per il partito, ma lui mi ha interrotto dicendomi che non era il caso di discuterne, perché quella non era una priorità, e che a proposito di strategie lui non aveva niente da imparare, essendo l’unico uomo, insieme con Bossi, che aveva fondato un partito». Pausa di facile ironia: Tranfaglia era nientemeno che a capo della «Scuola nazionale di formazione politica» da lui fondata all’interno dell’Idv, presumiamo con Scilipoti e Razzi seduti ai primi banchi. Ma proseguiamo con la reazione di Di Pietro, che ha cercato di rovesciare la frittata come ogni volta gli suggerisce l’unica cultura che conosce: «Tranfaglia voleva ricattarmi». Cioè? «In un sms mi chiedeva il rinnovo del contratto, altrimenti avrebbe parlato male di me». Probabilmente Tranfaglia gli aveva solo detto che, se la sua scuola di formazione fosse saltata, ne avrebbe parlato con la stampa: ma a Di Pietro la velata minaccia dev’esser sembrata una pozzangherina, una macchina del fango formato mignon. Ecco perché ha risposto, indignato: «Quando si scade al tentativo di ricatto, non si scende a compromessi. Pensa un po’ se a 60 anni, dopo tutto quello che ho fatto, mi faccio ricattare da Tranfaglia». In effetti Di Pietro ha avuto nemici più temibili. E qui va spiegato chi è Tranfaglia, anzi, il professor Nicola Tranfaglia, esempio di spaventoso trombone del genere che per decenni ha infestato e nutrito la cosiddetta superiorità culturale dell’ex Pci. Napoletano, ricercatore alla Fondazione Einaudi, assistente di Alessandro Galante Garrone, docente di storia contemporanea, preside della Facoltà di Lettere a Torino, membro della Fondazione Gramsci ma soprattutto editorialista de La Repubblica e de L’Espresso, la sua specialità era questa: intrecci mafia/neofascismo/servizi segreti americani nel secondo dopoguerra. Basta? È sufficiente? No. Allora aggiungiamo che questo archetipo di intellettuale nostrano era legato ai Ds che ha lasciato nel 2004, si è candidato subito dopo coi Comunisti Italiani, nel 2008 è passato alla Sinistra Arcobaleno e infine nel 2009 si è infine candidato alle Europee per l’Italia dei Valori, trombato. Ora, dopo l’effimero contentino della fantasmatica scuola di formazione, questa dissoluzione finale che forse è qualcosa di più di un semplice avvicendamento: è la pietra tombale - meglio: fossile - su ciò che rimaneva della presunta funzione dell’intellettuale in politica. Nel 2009, qualcuno lo ricorderà, Di Pietro fece un’informata proprio di questo genere di intellettuali-rompicoglioni di cui il Partito democratico era finalmente riuscito a liberarsi, progressivamente relegati ai margini di una «cultura» che nell’accezione da loro conosciuta non esisteva più o non contava più niente. Gli elettori di Di Pietro, quelli della cultura non prioritaria, si ritrovarono candidati come Gianni Vattimo o Giorgio Pressburger o appunto Tranfaglia, e la disfatta degli intellettuali fu memorabile. I voti li presero De Magistris, Pino Arlacchi, addirittura Sonia Alfano, questi qui: cultura sì, ma delle manette. Altra non ne serve: sicché Di Pietro ha deciso di pagare uno stipendio in meno. Tutto qui.