Stop moralismi ed eccessi di difesa: trattiamo Ruby per quel che è

Giulio Bucchi

Una rosa è una rosa, scriveva cento anni fa Gertrude Stein. Niente di più e niente di meno che una rosa. Allo stesso modo, e il mio pensiero corre in questo caso alla diciottenne marocchina Ruby Rubacuori, una puttana è una puttana. Niente di più e niente di meno che una puttana, e beninteso non ci metto nulla di offensivo in questa connotazione. Solo che le connotazioni non sono casuali e interscambiabili, ché altrimenti va giù tutto l’edificio del ragionamento. E ammesso e non concesso che l’attuale tsunami massmediatico, di cui siamo vittime tutti, lo abbia lasciato in piedi un qualche edificio dove il ragionare e il distinguere siano ancora di casa. Fatto è che non credevo ai miei occhi, qualche giorno fa, nel leggere un paio di struggenti pagine del Foglio, figlie di un’intemerata televisiva di Giuliano Ferrara a Radio Londra. Due pagine dov’era accorata, da parte di collaboratrici e collaboratori del quotidiano romano, la difesa della persona e della donna Ruby. Di questa diciottenne marocchina di cui era sottolineato a forza quanto fosse stata difficile la sua vita di immigrata povera, e quanto fosse stato ignobile e volgare che le si fossero avventati contro - a bestemmiare la sua inaudita impudenza - alcuni “maschi” pugliesi: e questo mentre lei stava scendendo dalla limousine che la portava in non so quale discoteca, e già spalancava a favore dei fotografi la sua boccuccia ultrasiliconata, sventolava la ricca criniera, e fors’anche ricorreva al numero più smagliante del suo repertorio iconico, quello di tirar fuori un ciuffo di lingua invitante a chiarire ulteriomente di che cosa stiamo immaginando se la guardiamo in tutta la sua interezza. Un lavoro è un lavoro. Nel caso di Ruby una serata in discoteca di cui dubito che fosse remunerata per meno di 20mila euro tutti maledetti e subito. A Vienna, al ballo delle debuttanti, lì dove una giornalista televisiva l’ha avvicinata con il microfono in mano a chiederle che cosa ne pensasse delle rivolte popolari nei Paesi della costa nordafricana - e purtroppo lei ha risposto, e purtroppo un telegiornale italiano ha fatto scorrere e la domanda e la risposta -, la nostra eroina di euro pare che ne avesse incassati 40mila. E quella sera lei rappresentava l’Italia, era l’immagine simbolo di noi tutti: almeno così veniva pronunciato dal suo ricco (e demente) anfitrione austriaco. Una puttana o una vittima di “maschi” vogliosi e arroganti che la eleggono a capro espiatorio? I giudici di Milano sostengono di avere le prove che lei offrisse il suo corpo a pagamento fin dall’età di sedici anni. A Messina ha in corso una causa contro una sua ex datrice di lavoro che la accusa di furto. L’ha accusata di furto anche la fanciulla brasiliana dai costumi non esattamente morigerati con cui Ruby conviveva, ed è in ragione di quell’accusa che la ragazza marocchina allora minorenne ha fatto una capatina negli uffici della questura milanese dove poi non l’hanno trattenuta. Una volta aveva preso un taxi da Genova in direzione Milano e se ne è andata via senza pagarlo (se non sbaglio lo ha finalmente pagato in questi ultimi mesi, forse perché disponeva di più cash del solito). È una che lo vedi a cento chilometri di distanza che mente come respira, che non dice una parola se non a trasformarla in euro. Ai giudici milanesi ha raccontato che a cena ad Arcore c’erano Eli Canalis e George Clooney, solo che quei due assieme ad Arcore non ci hanno mai messo piede nella loro vita. Nell’intervista televisiva ad Alfonso Signorini (il quale non dico le credesse ma dava purtroppo l’idea di crederle) ha sparato balle a tempesta, a cominciare dalla violenza subita dagli zii, di cui la madre di Ruby s’è precipitata a dire che non era vero niente di niente. È singolare che la legge chieda di proteggere un personaggio siffatto; da un personaggio siffatto e dalla sua voracità di essere e di avere servirebbe una legge che ti protegga. Ripeto, non ho nulla di nulla contro Ruby. Quella mia di partenza era solo connotazione, una connotazione abissalmente antitetica da quelle di quanti (uomini e donne) non la finivano di esaltare sul Foglio questa ragazza talmente innocente e talmente vittima della sua bellezza che poco mancava non finisse per assomigliare a Yara. Così come non riesco a pensare a una sola parola in difesa delle 33 frequentatrici delle cene di Arcore. Solo andavano per incassare, e il più possibile. Beninteso non sto parlando di reati. Di quelli si occuperanno i giudici. Sto parlando di gusto, di dignità delle donne, di verità, di rapporti tra gli uomini e le donne. Ma anche di erotismo. Di cui nelle scene di cui sappiamo dalle intercettazioni telefoniche non ce n’era nemmeno un’oncia. di Giampiero Mughini