Pasticci atomici / 2 Paghiamo due volte la Francia

Giulio Bucchi

A proposito di nucleare all’italiana, sentite questa. Allora, a quasi 24-anni-24 dal referendum che portò alla chiusura delle centrali, ancora siamo alle prese con il problema delle scorie che quegli impianti produssero. Nel senso che solo nel 2007, in base a regolare accordo, i francesi accettarono di prendersele, peraltro intascandosi per il disturbo 250 milioni di euro. Trasferimento che ancora non è ultimato e proseguirà fino al 2013, quando saranno definivamente svuotati il deposito di Saluggia e la centrale di Trino Vercellese. In ogni caso, quelle stesse scorie proprio in Francia vengono riprocessate con le tecnologie più avanzate, così ricavandoci energia elettrica. Energia che poi viene rivenduta a noi, all’Italia. Tanto per ribadire: paghiamo i francesi per prendersi materiale nucleare, loro ci fanno energia e ce la rivendono. E già questo è un paradosso. E però uno può dire: almeno ci siamo liberati delle maledette scorie. Errore. Perché sempre dalla Francia, e sempre in base a quell’accordo, ci tornerà indietro lo scarto di questo riprocessamento, di volume inferiore ma comunque radioattivo. Motivo per cui risulta ancora aperta la questione relativa al sito in cui stoccare questo materiale, sito che ancora non è stato trovato. Vediamo di spiegarla meglio. Da principio tutti gli impianti nucleari italiani erano in carico all’Enel. Poi, dal 1999, della loro dismissione è stata incaricata la Sogin, società del ministero del Tesoro. Che ha sottoscritto un contratto con Areva, azienda francese proprietaria di un impianto atomico a Le Hague, in Normandia. Come detto, all’Areva viene ceduto il combustibile irraggiato, vale a dire contenente uranio e plutonio: in tutto 235 tonnellate, inizialmente custodite nella centrale piacentina di Caorso (190 tonnellate) e poi in quella di Trino Vercellese e nel deposito di Avogadro di Saluggia (in cui a suo tempo erano state stoccate quelle provenienti dalla centrale campana del Garigliano). Il trasferimento da Caorso s’è concluso il 21 giugno dello scorso anno, con l’ultimo viaggio atomico. Con le barre prelevate fra mille precauzioni, sistemate in due grandi cilindri d’acciaio e cemento chiamati cask  e caricate su un paio di camion, poi il breve viaggio fino alla stazione, dove una gru le trasferisce su un treno speciale che seguirà un percorso controllatissimo fin nel nord della Francia (fra le tre e le quattrocento le persone complessivamente coinvolte nell’operazione). Resta il combustibile nucleare che giace a Saluggia  e Trino Vercellese: i trasporti proseguiranno con cadenza bimestrale per altri due anni, fino a svuotamento definitivo. E però, ed ecco la beffa, l’accordo prevede come detto che, entro il 2025, rientrino in Italia 11 bidoni con il materiale di scarto della lavorazione. Si tratterà dunque di trovare un luogo per conservarle in sicurezza, che poi è il famoso deposito unico di scorie di cui si discute da tempo immemorabile. S’attende una decisione, possibilmente prima del 2025. Ma la vicenda del combustibile nucleare ceduto (pagando) ai francesi che ne ricavano energia, diventa ancor più paradossale se si pensa che l’Italia è fra i maggiori importatori al mondo di energia elettrica (secondi i dati dell’International Energy Agency, nel 2008 è stata seconda solo al Brasile), e proprio la Francia è tra i nostri maggiori fornitori: considerando la quantità complessiva consumata in un anno in Italia, l’energia proveniente dalla Francia s’aggira intorno al 5 per cento, per una spesa superiore al miliardo di euro. Quando si dice la lungimiranza. di Andrea Scaglia