Ordine e coraggio: Tokyo è d'esempio per tutto il mondo

Giulio Bucchi

Ora sappiamo come reagisce un giapponese di fronte a un terremoto di 8,9 gradi Richter: se è in piedi si siede, se è seduto si alza in piedi. Se ha un tavolino davanti lo regge con una mano, se è in salotto accende la videocamera e riprende la tv digitale a schermo ultrapiatto che oscilla come un ventaglio, poi accende anche la tv  e guarda le notizie delle centrali nucleari evacuate, lo tsunami che si avvicina alle coste, gli incendi, continuando a filmare mentre tutt’intorno i soprammobili cascano a terra. Se sta in parlamento, il giapponese alza lo sguardo e osserva i lampadari oscillare come per un esercizio zen. Il primo ministro Naoto Kan, alla prima scossa, non sembrava affatto “sorpreso” come scriveva enfaticamente il sito del Corriere, non ha fatto una piega anzi e a giudicare dalla sua espressione tra il ministro e il sisma il più sorpreso era il sisma. Poi c’è quello che sta dando un’intervista e improvvisamente tutt’intorno a lui il mondo comincia a tremare. Piccola esclamazione di disappunto, sguardo fuori dalle finestre dove gli alberi si scuotono come all’apocalisse, l’intervista si ferma perché la notizia è altrove, ma nessuna videocamera gettata a terra o in fuga disperata, come accade spesso ai reporter occidentali, che se la battono al primo bu!. Anzi, si continua a riprendere la stanza dalle pareti che sembrano gelatina, si piegano ma non si spezzano, e si aspetta pazientemente che il cadavere del sisma passi sulla riva del fiume. Negli uffici le stampanti erano nel panico, così come i terminali dei pc, gli schedari, le scrivanie, le penne, tutto schizzava di qua e di là, venivano giù i raccoglitori dagli scaffali, l’unica cosa che non tremava erano gli impiegati. Qualcuno ci è sembrato intento a continuare il suo lavoro, lo sguardo occhialuto fisso nel monitor e le mani sulla tastiera che purtroppo tendeva a scivolargli sotto le dita costringendolo a cancellare e digitare di nuovo i comandi. La terra si spaccava e la gente stava lì a guardare le crepe borbottando in quel buffo tono gutturale che per noi occidentali sembra un’esclamazione di rabbia, e forse lo è, ma la rabbia è una reazione curiosa quando si dovrebbe, piuttosto, essere terrorizzati. Ammettiamolo, siamo profondamente ammirati del modo cui i giapponesi hanno reagito. Sarà pure che ci sono abituati, che hanno costruito le loro città secondo le più sofisticate tecniche anti-sisma, però che sangue freddo, neanche fossero tutti buddhisti. Facile immaginare come avrebbe reagito il nostro parlamento posto di fronte alla medesima sollecitazione. Alla prima vetrata in frantumi si sarebbe scatenato un fuggi-fuggi bipartisan degno del naufragio del Titanic, botte da orbi per guadagnare l’uscita, deputati arrampicati sulle spalle di colleghi. A Tokyo i parlamentari hanno aspettato seduti o in piedi ma composti, per lunghissimi minuti, che la scossa cessasse, erano molto meno esagitati dei nostri dopo un voto di fiducia, il primo ministro s’infilava la custodia degli occhiali nella giacca, un commesso invitava a allontanarsi dalle finestre, ci si guardava negli occhi o su ai lampadari, alla fine sono usciti senza perdere la flemma. E anche di fronte al catastrofico abbattersi dello tsunami su un porto, l’onda che squassa le imbarcazioni e si ritira trascinando con sé le auto sui moli come modellini, il commento del giornalista ha un tono appena alterato, niente a che vedere col genere “stadio Maracanà” dei commentatori occidentali sul posto. Certo, è gente che oltre alla magnitudo sismica ha conosciuto i megatoni di due atomiche, ci vuole altro per farli scappare in preda al panico. di Giordano Tedoldi