Michele Tiraboschi: "La famosa 'flexicurity' ha fallito"

Privitera Andrea

La flessibilità è sempre stata letta come sinonimo di individualismo,  in positivo (più autonomia) o in negativo (più precarietà). Con il testo sulla conciliazione tra famiglia e lavoro, firmato da tutti i sindacati, Sacconi propone la flessibilità come risposta alle esigenze e ai problemi delle coppie con figli. Abbiamo chiesto a Michele Tiraboschi, docente di   Diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia e  consulente del ministro del Lavoro, un giudizio sul testo. «Per essere incisive ed efficaci le politiche di sostegno alla famiglia e di conciliazione tra vita e lavoro devono necessariamente passare attraverso la modulazione flessibile degli orari e dei tempi di lavoro», ci dice: «L’intesa sottoscritta lo scorso 7 marzo sulla conciliazione tra vita e lavoro, vuole da un lato consentire alle donne - mogli, madri, figlie -  di gestire la loro quotidianità senza dover scegliere tra famiglia e lavoro, e, dall’altro, salvaguardare le esigenze di produttività e competitività delle imprese.  Part-time, telelavoro, lavoro ripartito, lavoro intermittente, tipologie contrattuali ad orario ridotto, modulato e flessibile, flessibilità di orario in entrata e in uscita, banca delle ore, sono tutti strumenti che consentono in concreto di attuare quella flessibilità family-friendly che può garantire al Paese coesione sociale, crescita economica sostenibile e benessere durevole». Flessibilità e sicurezza: il termine flexsecurity è diventato di moda. Ma i paesi nordici, che l’hanno adottata, non sono scampati ai morsi della crisi economica, che pagano anche in termini di maggior  disoccupazione. Non abbiamo sopravvalutato i modelli anglosassoni o scandinavi? «In molti hanno decantato la flexicurity e in molti hanno auspicato di adottare il modello dei paesi nordici ritenuto, forse con eccessiva enfasi, come un sistema eccellente di protezione sociale, in cui convivono la flessibilità, utile alle imprese, e la sicurezza, necessaria ai lavoratori. L’Italia ha affrontato la crisi meglio di tanti Paesi, compresi quelli del tanto pubblicizzato modello danese della flexicurity, che hanno registrato un incremento dei disoccupati di gran lunga superiore al nostro. Il massiccio impiego della cassa integrazione e di ammortizzatori in deroga ha consentito di ridurre licenziamenti di massa. Va detto, però, che i sostegni passivi del reddito, da soli insufficienti ad arginare la crisi, devono essere affiancati da strategie in grado di avviare una vera e propria offensiva per il rilancio dell’occupazione». In che senso? «Sono fondamentali i provvedimenti che tengono conto delle reali esigenze delle imprese e degli sbocchi professionali dei nuovi mercati e finalizzati a ripensare profondamente la formazione come unica leva per la competitività e l’occupabilità». Ma nel mercato del lavoro italiano c'è bisogno di più flessibilità o di più sicurezza? Dove bisognerebbe intervenire? «Il mercato italiano, anche se con difficoltà e in ritardo rispetto ai nostri partner stranieri, si è dotato, già a partire degli anni novanta con il cosiddetto Pacchetto Treu, di ottimi strumenti di flessibilità. Questa è stata decisamente ampliata con la riforma del mercato del lavoro operata con la legge Biagi.  Semmai a mancare  fino a oggi è una visione di sicurezza sociale. Proprio la crisi mondiale delle economie ha rappresentato lo stimolo per elaborare un modello di sicurezza che prescinda da meccanismi di tipo assistenziale e punti su una solidarietà di tipo sussidiario e partecipato, che dia vita a nuovi schemi assicurativi fondati sull’integrazione tra azione pubblica e privata. L’attuale momento economico e sociale deve essere vissuto  e non semplicemente “subito” come un’opportunità per valorizzare gli strumenti messi in campo dal governo per conciliare e integrare azioni di politica attiva e passiva nella prospettiva di concorrere in modo efficace alla tutela dei lavoratori e al miglioramento dell’occupabilità delle persone e della competitività delle imprese». Lo staff leasing mette potenzialmente insieme stabilità (le assunzioni sono a tempo indeterminato) e flessibilità. È una formula sulla quale vale la pena di puntare, secondo lei? E quali sono le categorie di lavoratori potenzialmente interessati? «Lo staff leasing, così come immaginato dalla riforma Biagi, è un contratto di qualità che coniuga flessibilità e tutele attraverso moderni modelli di integrazione contrattuale tra imprese, coordinati da operatori polifunzionali e altamente qualificati, quali sono le nuove agenzie del lavoro. Agenzie che in caso di somministrazione a tempo indeterminato assicurano al lavoratore continuità di impiego, oltre che una robusta dote formativa, piene tutele previdenziali e il riconoscimento della parità di trattamento con i lavoratori dipendenti dell’azienda in cui sono mandati in missione. La possibilità di utilizzo in tutti i settori, pubblici e privati, e l’estensione con la Finanziaria 2010 dell’elenco delle ipotesi in cui è consentito il ricorso allo staff leasing, comprendendo in particolare i servizi di cura e assistenza alla persona e i servizi di sostegno alla famiglia, ne fanno uno strumento dalle grandi potenzialità. Proprio le agenzie per il lavoro, più di ogni altro attore del mercato, hanno gli strumenti per favorire, nell’attuale crisi mondiale, la ripresa del mercato occupazionale. Ci sono tutte le premesse perché le agenzie riescano ad intercettare le domande di nuovi lavori, che provengono da settori non tradizionali, e a rispondere fornendo servizi specializzati e votati all’eccellenza. In tal modo, anche attraverso l’ausilio dei fondi interprofessionali, le agenzie saranno in grado di rispondere ai fabbisogni del mondo produttivo e al tempo stesso di produrre quelle competenze che i mercati e le imprese maggiormente richiedono». Fino a qualche tempo fa le agenzie per il lavoro consideravano lo staff leasing come una grande opportunità, i sindacati ne diffidavano, le imprese lo conoscevano poco. Oggi? «Lo scetticismo o la resistenza ideologica, lungi dal contrastare fenomeni di precarizzazione e sfruttamento, non ha avuto altro effetto se non quello di rallentare, a svantaggio tanto delle imprese quanto dei lavoratori, la modernizzazione dell’attuale sistema produttivo italiano. Sono moltissime le aziende, piccole e grandi, che hanno necessità di reperire in tempi brevi professionalità qualificate e con un’adeguata formazione, che tuttavia faticano a trovare sul mercato. Questa è al tempo stesso la sfida e la potenzialità dello staff leasing, strumento che può offrire una prospettiva di stabilità ai lavoratori e dare una risposta alle esigenze, non solo contingenti, del mercato del lavoro». di Alessandro Giorgiutti