Sulle quote rosa l'Italia imita i peggiori: chi le ha è in crisi nera

Giulio Bucchi

Forse sarà un caso. O anche no. Resta il fatto che le tre principali economie del mondo non traducono nemmeno il termine “quote rosa”. Nessuna legge del genere esiste negli Stati Uniti, nè in Giappone o in Germania. Tanto meno in Cina che scalpita nella classifica dei Paesi più ricchi. Proprio non sanno di che cosa si parla. Eppure non si può dire che siano economie in difficoltà. Tutt’altro. Probabilmente non è un caso se fra i Paesi del G8 solamente due stanno approvando una legge sul contingente femminile. Sono la Francia e ora l’Italia.  Difficile pensare che attraverso questa strada venga rilanciata la produzione. A voler essere un po’ maliziosi si potrebbe fare la considerazione opposta. Dimostrerebbe l’inutilità della legge sulle pari opportunità nei consigli d’amministrazione.  Finora è stata approvata solo in Islanda, Spagna e Norvegia. Obbligo di arrivare progressivamente al 40%.  Tuttavia a forte presenza femminile ai vertici del sistema produttivo non ha impedito all’Islanda di andare in bancarotta e alla Spagna  di crollare sotto i colpi della crisi. Si salva la Norvegia, ma la differenza la fanno i suoi grandi giacimenti petroliferi. Non certo le donne in consiglio. La Germania non ci pensa proprio a fare una legge, incurante della presenza della signora Merkel. Nei consigli d’amministrazione tedeschi la componente femminile è del 3,2%. Assai meno che in Italia. Ma nessuno si lamenta. Casomai un po’ di ironia. Joseph Ackermann, presidente di Deutsche Bank liquida il problema con una battuta: «Con più donne il nostro consiglio d’amministrazione sarebbe certamente più bello e colorato». Ovviamente gli amministratori della principale tedesca sono tutti uomini. Gli Stati Uniti, culla dell’economia liberale, neanche discutono della possibilità di una legge al femminile. Questo non ha impedito a Carly Fiorina (nella foto) di diventare capo della Hp, una delle più grandi aziende del mondo nel campo dei computer. Fu liquidata con 42 milioni di dollari nel 2005. Non era riuscita a far funzionare la fusione con Compaq. Il genere femminile non fu rilevante nè al momento dell’ingaggio nè per il licenziamento. E che dire della spagnola Ana Patricia Botin. Certo è figlia del presidente del Banco di Santander. Ma la sua famiglia ha solo il 3% della banca. La finanza italiana la conosce per la presenza del consiglio di Generali.  Arianna Huffington ha venduto il suo blog Huffington Post per 350 milioni di dollari ad Aol. Una grande operazione che Arianna ha costruito pezzo dopo pezzo. C’è riuscita perchè era brava. Non perchè donna. di Nino Sunseri