La parabola della cubista di Dio Lapdancer per anni, poi si converte
Anna Nobili passava tutte le notti nelle discoteche di Milano, fino alle otto e mezza di mattina. Ballava sul cubo, sapeva benissimo di essere guardata su ogni centimetro di pelle scoperta ma non si sentiva carne messa in mostra né indegna, era felice, i fasci di luce la colpivano come carezze impalpabili, il corpo irradiava la sua traboccante energia in un rito ritmicamente ossessivo che solo i moralisti giudicano peccaminoso, e che invece ha molte parentele con antiche cerimonie sacre. Si dimenavano le Bassaridi, seguaci del culto di Dioniso, ballano i dervisci rotanti di cui canta Battiato, e anche il nichilismo, che è una religione come tutte le altre, ha la sua danza: quella improvvisata, a scatti delle cubiste, praticata sotto gli sguardi spesso più intossicati che bramosi dei frequentatori di locali che chiudono all’alba. Dunque nessuna storia di disperazione alle spalle dell’improvvisa decisione di Anna, semmai una salita, un salto di qualità: scendere dal cubo, prendere il velo, continuare a esprimersi con il ballo come suor Anna, per “danzare la via, la verità, la vita”. Quando la senti parlare, l’ex cubista e ora suor Anna, sembra quasi che abbia avuto un’esperienza mistica postmoderna: l’incontro con Gesù che le ha “ribaltato il cuore e mi ha fatto trovare quell’amore che cercavo nella notte” sembra quasi essere avvenuto in quei piccoli big bang con consumazione obbligatoria che sono le discoteche. Come se il carisma cristiano avesse incenerito tutti gli altri giovani che cercano uno sballo e nient’altro. Improvvisamente, Anna ha capito che tutta quell’energia che esprimeva e dilapidava corrispondeva a un bisogno superiore di spiritualità, così è andata alla ricerca di chi, secondo lei, è l’artefice della sua instancabile frenesia, e l’ha trovato in Cristo. Anna è una bella ragazza e anche ora che ha preso il velo non rinuncia a disegnarsi gli occhi e a un filo di rossetto. Sarebbe stato grottesco che, scendendo dal cubo, si fosse trasformata nell’iconografia più irrisa della suora: curva, pallida, baffuta. Se nessuno porta merito della propria bellezza, è altrettanto certo che non ne porta colpa. E ora, attraente come ogni donna ha diritto a mostrarsi, predica il Vangelo e la danza: ha fondato una scuola di danza cristiana chiamata Holydance, e il 19 marzo, a villa Immacolata di Torreglia, sui colli Euganei, guiderà uno stage di danza sacra aperto ai ragazzi maggiorenni under 35, cioè a quella fascia di ragazzi che prima esorcizzavano le loro frustrazioni nelle discoteche dove lei era una delle attrazioni. E a dimostrazione che quelle notti non sono state buttate, suor Anna porterà nella danza sacra l’energia della movida milanese: nella sua scuola accanto alla preghiera gestuata e alla danza liturgica si insegna modern spirit dance, break inside, hip-hope, l’hip-hop della speranza (hope in inglese). Ci sarà chi sorriderà dell’ingenuità con cui suor Anna pretende di rivoluzionare i mesti e a volte deprimenti tentativi di ammodernare la musica liturgica – chi non sopporta con fastidio i petulanti giovani con la chitarra intonare canti alleluiatici stonati durante le messe – contaminando la fede con l’elettricità a alto voltaggio della dance degli anni Zero. A noi sembra un atto di follia divina, una missione perfettamente cristiana che venendo da una lunga esperienza nei luoghi del peccato per antonomasia, le discoteche, in realtà le dimostra per quello che sono: non inferni artificiali, ma luoghi dove i ragazzi cercano semplicemente un’esistenza più viva, più alta, più ricca. Per chi è credente, non esistono luoghi impuri, inaccessibili alla benedizione cristiana. Poi si potrà essere d’accordo o meno con suor Anna, quando esalta il senso di comunità della danza sacra, come lei l’intende, rispetto all’individualismo ermetico del ballo da discoteca. Ma questo è il bello della storia di suor Anna, che la si può vedere come un’apoteosi della fede in Cristo o come un’apoteosi della danza, qualunque danza. di Giordano Tedoldi