Silvio e Marco, ragioni diverse, stessi obiettivi
Un’alleanza tra Pannella e Berlusconi: e che c’è di strano? Le carriere politiche durano così a lungo, da noi, che i giornalisti ogni tanto riscoprono Marco Pannella come se non fosse mai esistito: magari rivelano che è bisessuale (è da trent’anni che lui lo dichiara tranquillamente) oppure apprendono che il suo obiettivo è cambiare le cose in tutti i modi possibili, punto: quindi anche accettando incarichi o sostenendo governi. Oddio: lui in passato, come massimo incarico, ha ricoperto la presidenza della Circoscrizione di Ostia per cento giorni: ma i suoi radicali hanno fatto ben altro. Pannella ama sentirsi «riserva della Repubblica» e stagliarsi nell’agone politico quando tutto sembra scompaginato e irrecuperabile, è il suo modo di vivere l’eccezionalità: qualcuno ricorderà il «Parlamento degli inquisiti» di cui si mise a capo nel 1993, costringendo gli onorevoli ad alzarsi alle sette del mattino; o quando cercò di sostenere il governo Ciampi, o quando fece altrettanto col primo governo Berlusconi e nondimeno con lo scorso ministero Prodi, cui riuscì a perdonare tutta l’ignavia dimostrata in tema di diritti civili; Prodi era quello che voleva sospendere l’embargo delle armi alla Cina, che non aveva neppure voluto incontrare il Dalai Lama, che non si oppose alla candidatura di Hugo Chavez al Consiglio di Sicurezza. L’abilità di Pannella e dei Radicali sta appunto in questo, nel mischiare passione civile e un pizzico di realpolitik, visioni lunghissime a pragmatismi quotidiani. Ora però c’è chi si stupisce che i suoi nove preziosi voti parlamentari (sei alla Camera e tre al Senato) possano rafforzare l’incasinato governo del Cavaliere: «Nel periodo 1994-96 Berlusconi ci è stato alleato», ha scritto ieri Pannella su Facebook, «e non avendo noi accettato responsabilità di governo, pur da lui offerte, l’alleanza fu sempre basata esclusivamente sulle tante nostre grandi iniziative referendarie e specifici obiettivi politici del momento». «Sorreggere le istituzioni», ha invece dichiarato ieri sulla Stampa, «è un dovere repubblicano, specie se non esiste un’alternativa». E secondo lui l’alternativa non c’è: non accoppiate tipo Tremonti-Formigoni e non un’opposizione con cui il leader radicale non parla praticamente da anni - con Bersani in particolare - e che «si fa sostituire dalle assise milanesi dirette da De Benedetti». Pazienza se i radicali votarono la sfiducia, fa niente se sono stati favorevoli alla richiesta di perquisizione degli uffici di Berlusconi: ora c’è da trattare. Già, ma su che cosa? Qui sta il punto. Si favoleggia di improbabili nomine al ministero della Giustizia (il radicale Mario Patrono, già Csm, potrebbe sostituire Angelino Alfano che diventerebbe coordinatore unico del PdL) ma non è necessario spingersi a tanto per comprendere che i due, Pannella e Berlusconi, per ragioni diverse hanno obiettivi simili: per esempio la separazione delle carriere dei magistrati, il miglioramento della pazzesca situazione delle carceri (ma senza amnistie, perché La Lega non lo permetterebbe) e così pure l’effettività della responsabilità civile dei magistrati, cioè la possibilità che le toghe paghino davvero per i propri errori come in teoria sancì il referendum del 1987. Tutto qui? No, anche perché allora avrebbe ragione la riluttante Emma Bonino: per votare dei provvedimenti o delle riforme governative graditi mica è necessario allearsi. Ed ecco spuntare i fatidici «temi etici», nella fattispecie quella legge sul «fine vita» per scongiurare la quale i radicali si dicono disposti a tutto. Il 21 del mese la legge dovrebbe tornare in discussione alla Camera, dove è ferma da più di due anni: in fondo si tratterebbe soltanto di lasciar morire naturalmente a sua volta, complici i mal di pancia che provoca in parlamento e complice il fatto che alla maggioranza degli italiani di destra e di sinistra, sondaggi alla mano, la legge annunciata non piace manco per niente. Berlusconi lo sa, e l’urgenza di accontentare il Vaticano, di questi tempi, è un po’ meno urgenza.