Romiti spiega il fenomeno-Cina: "Siamo lì per investire, non per risparmiare"
«Nonostante la straordinaria crescita economica la Cina, ancora oggi Paese dalle innumerevoli opportunità, non è in grado di assorbire i nuovi entranti nella forza lavoro: a questi si aggiungono decine di milioni di lavoratori disoccupati e sottoccupati nelle campagne e nelle città, come risultato anche della riforma e delle ristrutturazioni delle imprese di Stato». Così Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia Cina, descrive la situazione attuale del Paese del Dragone. Una situazione inattesa. La Fondazione nel 2004 contava 30 associati, oggi circa 400 e pochi giorni fa ha ricevuto anche la visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Presidente, se dovesse descrivere in base alla sua esperienza le differenze principali tra i due paesi, l'Italia e la Cina, in tema di lavoro, cosa sottolineerebbe? «La nuova normativa sul contratto di lavoro, da un punto di vista formale, ha avvicinato notevolmente la regolamentazione del mercato del lavoro cinese agli standard prevalenti del mondo occidentale. Nonostante la normativa sia stringente e apparentemente rigida, l’effettiva applicazione lascia ampi margini di flessibilità e discrezionalità. Vi è in questo campo una discrasia tra la cosidetta “law in action” e la “law in books”. Rimane aperto il tema della rappresentanza sindacale a tutela dei lavoratori. Il numero degli iscritti ai sindacati di base, in Cina, è ancora estremamente limitato... «Non solo: i sindacati sono più vicini agli interessi delle aziende che ai diritti dei lavoratori, anche se le cose stanno cambiando in meglio. La federazione dei sindacati cinesi ha proposto di ampliare il numero degli iscritti e posto come obiettivo quello di stimolare l’istituzione dei sindacati sia in aziende private sia in aziende a partecipazione estera. Inoltre, nonostante non vi sia una normativa di riferimento, sta prendendo sempre più piede la contrattazione collettiva nei rapporti tra azienda e lavoratori. Tutti segnali positivi a cui dedicare attenzione». Che dimensioni ha la crescita cinese oggi? «Per convezione si dice che la crescita del Pil dell’8% sia il livello minimo per poter garantire un numero consono di nuovi posti di lavoro e soddisfare perciò la crescente domanda. Il nostro Centro Studi (Cesif) indica che il numero di nuovi laureati in Cina è di circa 5 milioni, dato che negli ultimi 5 anni è più che raddoppiato. Questo è indicativo del fatto che parallelamente il mercato del lavoro deve rispondere alle elevate aspettative di una significativa porzione della popolazione. Incideranno altresì dinamiche demografiche: oggi la popolazione è ancora relativamente giovane con un ridotto impatto sul sistema sanitario e previdenziale, ma con il concreto rischio di elevata disoccupazione. Nei prossimi anni si prevede invece che la popolazione, soprattutto per le migliorate condizioni di vita e le distorsioni generate dalla politica del figlio unico, tenderà ad invecchiare con maggiore pressione sul welfare, ma prevedibilmente minori problemi da un punto di vista della disoccupazione». Tutele scarse, forse uno stato sociale sotto pressione... Non è assurdo per un’economia che di dichiara socialista? «È un paradosso che per un Paese comunista il mercato del lavoro e la sua regolamentazione sembrino di fatto tutelare maggiormente le aziende e gli interessi del mondo dell’impresa a scapito dei diritti dei lavoratori, mentre in Italia forse l’eccesso è all’opposto. Rimane un mercato del lavoro molto più dinamico sia in entrata che in uscita, che pone maggiore enfasi sul merito, più vicino per molti aspetti a quello statunitense, sebbene condivida con l’Italia il ricorso a clientelismi e favoritismi relazionali». Cosa cercano gli imprenditori italiani nel paese del Dragone? «Oggi più che parlare di delocalizzazione è opportuno parlare di frammentazione della catena produttiva e ciò è necessario per essere competitivi in un mercato globale. Tutti i sondaggi svolti nei confronti di un campione di manager e imprenditori italiani ed esteri indicano la Cina come destinazione prioritaria di investimenti diretti esteri. Tuttavia il basso costo del lavoro non è più la motivazione primaria che spinge imprese italiane ad andare in Cina, sempre più importante è l’accesso al mercato, il valore strategico che la Cina assume per raggiungere altri mercati, acquisizioni o il consolidamento di un rapporto coi propri clienti, sebbene i minori vincoli di natura ambientale e lavorativi siano tra le motivazioni più citate». Anche i cinesi, però, guardano oltre confine... «Sì, le motivazioni che spingono i cinesi a internazionalizzarsi non sono poi tanto diverse: il loro mercato interno è estremamente competitivo e sorge la necessità di espandersi all’estero. È un segnale forte che la più grande banca del mondo, la Industrial and Commercial Bank of China, abbia deciso di aprire una sede a Milano. Ciò conferma l’importanza della piazza finanziaria milanese e l’interesse che i cinesi hanno nei confronti delle imprese italiane, soprattutto in un momento in cui il nostro sistema bancario è particolarmente prudente. Per le nostre società infatti si tratterà di un partner fondamentale per favorire il consolidamento e lo sviluppo di nuove attività in Cina. Sono molte le opportunità di collaborazione con la Fondazione Italia Cina e non è un caso che la filiale della banca sia stata aperta in Galleria Vittorio Emanuele, a due passi dai nostri uffici». Cosa consiglierebbe ai giovani italiani? Quanto conta lo studio della lingua cinese? Apprenderla è molto complesso, sicuramente non è un compito alla portata di tutti. «L’apprendimento della lingua e della cultura cinese costituisce uno strumento imprescindibile e prezioso per elevare il livello di interrelazione con il partner cinese ad un piano privilegiato. L’accesso alla complessa ritualità cinese passa necessariamente per lo studio e la comprensione di una cultura così diversa. È facile immaginare come tutto ciò si traduca, in una società così fortemente fondata sui vincoli di conoscenza, in una chiave per il successo nelle relazioni professionali. La Fondazione Italia Cina, attraverso la Scuola di formazione permanente, si occupa sia di formazione linguistica che di formazione manageriale: tra le attività che sviluppa per facilitare la penetrazione delle aziende all’interno del mercato cinese, ricordo i corsi “Business China” e i workshop settoriali indirizzati alle aziende e ai manager che vogliono aggiornare il loro personale. La Fondazione ha inoltre messo a punto un servizio che permette alle aziende in cerca di personale specializzato di avere i contatti dei candidati che si registrano al servizio (www.italychina-jobs.org)». I cinesi in Italia, nati qui o qui cresciuti: soprattutto nel commercio, dimostrano una forza che forse agli italiani manca? «Con Assolombarda abbiamo messo a punto il “First Italy China career day”: un progetto unico nel suo genere. La Fondazione Italia Cina recepisce per prima una nuova esigenza, e l'impegno è rivolto a permettere l’incontro tra le principali aziende italiane motivate a cogliere le opportunità del mercato cinese e i giovani cinesi della seconda generazione. Questi ragazzi, nati in Italia o arrivati nel nostro Paese molto presto, hanno studiato nelle migliori università di Milano, Torino o Firenze e costituiscono oggi una risorsa di altissimo livello, grazie ad una duplice formazione che li pone quali esperti conoscitori della lingua, della cultura e dei modelli di contrattazione italiani e cinesi. Il primo Career Day della Fondazione Italia Cina sarà un seminario operativo diviso in due momenti: durante la prima sessione interverranno relatori del mondo accademico, economico e specialisti del settore recruitment. L’appuntamento sarà avvalorato dalla testimonianza diretta del presidente della maggiore associazione culturale di ragazzi cinesi della seconda generazione, affermatosi professionalmente tra l’Italia e la Cina. La seconda sessione sarà interamente dedicata agli incontri azienda-risorse cinesi. Le aziende interessate ad incontrare candidati cinesi, previa prenotazione, potranno usufruire di uno spazio nel quale valutare i profili e la preparazione delle risorse umane attraverso brevi interviste e colloqui mirati. I giovani cinesi dimostrano una forza di volontà ed una determinazione a raggiungere i propri obbiettivi che è certamente debitrice di quella "abitudine a masticare amaro", come si dice in cinese, con la quale i loro padri e le loro madri hanno saputo convivere quando hanno lasciato il proprio Paese per andare in un altro dove lingua, abitudini, leggi e burocrazia erano spesso assai diverse ed ostili». Ci parli della formazione di questi giovani. Come funziona? «Per incrementare qualitativamente e quantitativamente il numero di studenti cinesi in Italia, la Fondazione ha promosso e gestisce il progetto Uni-Italia, finanziato congiuntamente con la Fondazione Cariplo, che ha come obiettivo la promozione dello sviluppo della collaborazione tra istituzioni universitarie italiane e cinesi; l’attrazione di studenti cinesi in Italia attraverso la migliore conoscenza delle opportunità offerte dal sistema universitario italiano; la diffusione della lingua e della cultura italiana anche tramite l’inserimento di tutor linguistici negli atenei cinesi; l’accoglienza e assistenza degli studenti che vengono in Italia; l’incremento delle borse di studio a favore degli studenti cinesi. Nei primi tre anni di attività, gli studenti cinesi iscritti presso le nostre Università sono passati da 1.448 nell’anno 2006-2007 a 4.642 nel 2009-2010, un aumento del 220% grazie anche all’azione congiunta del Miur e delle università italiane. Nel luglio del 2010 è nata l’Associazione Uni-Italia, che vede come soci la Fondazione Italia Cina, il Ministero degli Esteri ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’Associazione si pone come obiettivo di favorire la cooperazione universitaria e gli scambi culturali fra l’Italia e gli altri Paesi, con particolare attenzione all’attrazione di studenti e ricercatori stranieri presso le università italiane. Proprio in questi giorni è stata firmata presso il Ministero degli Affari Esteri dal Direttore Generale per la Promozione del Sistema Paese una convenzione tra il Ministero e l’Associazione Uni-Italia che permette all’Associazione Uni-Italia di operare all’interno di tutte le strutture diplomatiche italiane all’estero. Ricordo infine che la Fondazione Italia Cina ha firmato, insieme a China Radio International, un accordo per l’apertura di un’aula radiofonica Confucio Cri-Uni-Italia, la prima istituita nell’Europa sud-occidentale. Nel pieno rispetto della mission Uni-Italia, l'aula radiofonica seguirà anche dei progetti di assistenza e accoglienza studenti cinesi in Italia e pubblicherà studi di settore sui flussi degli studenti cinesi all'estero». di Giulia Cazzaniga