"Marchionne, che boss": se lo dicono gli americani...

Giulio Bucchi

La patria di Sergio Marchionne non è l'Italia e nemmeno il Canada, ma gli Stati Uniti. O almeno, da quelle parti l'ad Fiat viene considerato più o meno un profeta. Merito dell'ottimo risultato di bilancio di Chrysler, che fa parlare l'autorevole Wall Street Journal di "rinascita" per uno dei gruppi storici dell'industria automobilistica a stelle e strisce, finita in ginocchio tra anni Novanta e Duemila e risollevata dall'acquisizione da parte del Lingotto nel 2009. Il WSJ dedica a Marchionne un lungo ritratto e lo definisce il "boss" che "suda su ogni dettaglio". Un'opera certosina su "relazioni sindacali" (quanto sono lontane le contestazioni di Cgil e Fiom nostrane) e "l'offuscata reputazione" della compagnia. Il quotidiano-bibbia della finanza made in Usa cita anche casi concreti. Lo scorso mese, la manigliadel Dodge Charger lasciava filtrare un po' d'acqua mettendo a rischio il sistema elettronico di chiusura? Nessun problema, l'ad Fiat ha messo sotto torchio gli ingegneri, messi a lavorare senza sosta sul problema "E io - racconta lo stesso Marchionne - ho voluto essere informato ogni due ore su quella maledetta maniglia". Un approccio a metà tra l'autoritario e il severo padre di famiglia, che piace tanto agli americani e molto meno a una parte degli italiani.