Ecco perché il Berlusconismo non morirà

Giulio Bucchi

Da qualche tempo fra i commentatori di giornali e televisione, fra gli intellettuali e in parte anche nell’opinione pubblica va diffondendosi un pensiero facile e tipicamente italiano, di chi già tende le cosce e cerca uno stabile appoggio sulla staffa per prepararsi al cambio di cavallo in corsa. Nello specifico,   più che di un cavallo si tratta di un Cavaliere.  Si dice infatti che il berlusconismo è morto e va seppellito assieme al suo papi. Si dice che accanto al leader ormai in declino restano soltanto gli irriducibili e i servi, quelli che sono stati comprati e si arrampicano sugli specchi pur di conservare la propria, privilegiata, fonte di reddito. Ieri su Repubblica Gabriele Romagnoli si poneva la fatale domanda: «Come è possibile essere ancora berlusconiani», se non per «tornaconto personale»? Proviamo a rispondere. Si può essere berlusconiani perché non solo il berlusconismo non è morto, ma sopravviverà a Berlusconi, motivo per cui si potrà essere berlusconiani anche senza Silviuccio nostro a capo del governo. Che il Cavaliere sia - nel bene e nel male -  un personaggio irripetibile del quale la politica italiana non potrà  trovare un clone o un sostituto all’altezza è palese. Ma non ci interessano, qui, le battute e le gaffe, gli errori e i passi falsi dell’uomo. Il fatto è che Berlusconi non avrà compiuto la rivoluzione liberale annunciata nel ’94, ma ne ha compiuta un’altra, antropologica, da cui non si torna indietro.  Silvio ha creato l’uomo di centrodestra. Prima c’erano fascisti e postfascisti, democristiani di destra e di sinistra, liberali e radicali. Berlusconi è stato capace di coagulare  i valori  di questi tipi umani e politici, aggiungendo  il contributo leghista.   Se oggi  a scuola si parla di foibe, lo si deve al berlusconismo che ha inoculato l’idea secondo cui  il fascismo non è il male assoluto da demolire acriticamente. Idem per  il comunismo che non è  la panacea di ogni problema. Il berlusconismo ha  affermato che lavorare ricavandone  un profitto, e magari pure un cospicuo patrimonio, non è ingiusto. Ha mostrato che la televisione non  è (soltanto) una cattiva maestra, che le tasse non sono (soltanto) buone e giuste, che l’immigrazione va controllata.  Ha  contribuito al superamento delle ideologie.  Ha difeso la tradizione cattolica senza dimenticare il diritto degli individui a regolarsi come meglio credono con la propria libertà (sessuale o di coscienza). Berlusconi ha permesso a libertari, socialisti, rivoluzionari e conservatori di incontrarsi. E questi soggetti, una volta che si sono conosciuti e hanno apprezzato - con le differenze -  i tratti comuni, non si lasceranno facilmente. Tutto ciò è avvenuto, e avviene, perché Berlusconi ha rappresentato  la sintesi di tendenze e convinzioni differenti ma non aliene. Valori e individui che esistevano prima di lui, certo, ma che grazie a lui hanno compreso di far parte di un universo preciso: il centrodestra. Che può contare su giornali, programmi televisivi, libri e riviste la cui esistenza un tempo sarebbe stata impensabile.   Berlusconismo e centrodestra non sono separabili, lo dimostra l’esperienza di Fli, di una sedicente destra che per risultare insieme pura e innovativa assorbe i modi e i toni più stereotipati della sinistra. Può darsi che la maggioranza  crolli, che le persone inserite dal Cav nelle liste risultino sgradite agli elettori. Può darsi  che a lui succeda un altro premier (Tremonti, Letta, Alfano o chi vi pare). Chiunque arrivi però, dovrà fare i conti con  l’uomo di centrodestra: più dell’uomo qualunque, più del conservatore e del liberale. Questo è un fatto, è una conquista  che ha dato speranza e dignità a tanti (più o meno) moderati. Se per qualcuno Silvio è  una macchia da eliminare al più presto dal sorriso dell’Italia, state certi che  non basterà a cancellarla un’igienista dentale -   pur di talento  - come Nicole Minetti.