Finché c'è lui

Giulio Bucchi

Certe uscite infelici però evitiamole. Da una parte c’è Ruby che mercoledì sera si è lasciata scappare questa: «Ad Arcore ho aperto bocca e l’ho riempita con le prime cose che mi sono capitate». Poi ci sono quelli de Il Fatto che ieri hanno titolato: «Finchè c’è lui si mangia», sottotitolo «la frase preferita di Ruby è il manifesto dei berluscones». Eh no cari, «Finché c’è lui si mangia» e il manifesto di una mensa di cui siete voraci commensali. La dissoluzione di Silvio manderebbe in malora un formidabile indotto editorial-politico: provate a togliere dal vostro giornale i riferimenti diretti o indiretti a Berlusconi, è tanto se vi rimangono le previsioni del tempo, anzi neanche, perché non le avete. Togliete a Marco Travaglio i trenta e passa libri che ha dedicato al Cavaliere: gli rimangono due stupidari sul calcio e un libro-intervista a Valentino Castellani. E Grillo? E Di Pietro? E Micromega? E Raitre? E Santoro? E tutta la sinistra, in un modo o nell’altro? È come togliere il bisonte agli indiani, il sangue ai vampiri, le carni alle sanguisughe. Berlusconi nel 1994 promise un milione di posti di lavoro: ne ha procurati ben di più, per quanto alcuni dei relativi stipendi - elargiti a maitresse con l’auto blu, attricette in quota Rai, deputate ed elette varie - li paghiamo noi, e a noi andrebbe affidata la conseguente risoluzione dei rapporti: a calci nel culo.