Patto tra Silvio e Umberto: riforme, altro che Ruby
"Ieri abbiamo sancito che se non passa il federalismo, si va al voto". Umberto Bossi impone la sua ipoteca sul futuro del governo Berlusconi, e lo fa a poche ore dal vertice notturno avuto proprio col Cavaliere, a Palazzo Grazioli. Il senatur è quello più impegnato in questi giorni di polverone a rimanere ancorato ai fatti concreti. Fari puntati, dunque, su quello che si vota (e si voterà) in Parlamento piuttosto che su cosa c'è scritto nelle 389 pagine inviate dalla Procura di Milano alla Giunta per le autorizzazioni a procedere. L'incontro tra lo stato maggiore della Lega e il Cavaliere è servito a questo: mettere a punto la strategia comune dell'esecutivo. Accantonato il Caso Ruby, Bossi ha confermato la fiducia al premier e il suo 'no' al voto anticipato, ad un patto: via libera ai decreti attuativi del federalismo. Intorno al tavolo si sono seduti Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario Gianni Letta e l'avvocato-deputato Niccolò Ghedini. Dall'altro lato, Bossi, i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni, i presidenti di Veneto e Piemonte Luca Zaia e Roberto Cota, i capigruppo Marco Reguzzoni e Federico Bricolo e Rosy Mauro, vice presidente del Senato. Rumorosa l'assenza di Giulio Tremonti, titolare dell'Economia e secondo alcuni sempre più lontano dalla grazie di Berlusconi. POCHE CHIACCHIERE - Durante il vertice, si è parlato di giustizia (con il presidente della Consiglio che nel videomessaggio di ieri ha ribadito la necessità di una riforma), delle incongruenze dell'inchiesta dei pm milanesi e dei nuovi numeri parlamentari, con i 20 voti di margine ottenuti alla Camera per la relazione di Alfano e la creazione del Gruppo di responsabilità nazionale di Moffa. La posta in palio messa sul piatto da Bossi è ben nota: il federalismo, ribadendo la "necessità assoluta che i decreti attuativi passino", come ha confermato questa mattina il capogruppo alla Camera Reguzzoni, ospite di Maurizio Belpietro a 'La telefonata'. Da vincere le resistenze dei possibili alleati occasionali, Casini e Fini, che in queste ore premono per le dimissioni di Berlusconi. Se passasse la riforma cara al Carroccio, Pdl e Lega "intendono aprire una fase costituente - come ha spiegato Calderoli - con 6 o 7 importanti riforme condivise" che saranno annunciate dal presidente del Consiglio. Prima fra tutte, quella della giustizia per controbattere la magistratura politicizzata. Ma il piatto forte è stato, naturalmente, il Federalismo fiscale tanto caro alla Lega. "La riforma passa al 100% - ha assicurato Bossi -, ma se viene respinta si va al voto. Berlusconi è d'accordo". Ma chi vuole andare al voto? Non certo la Lega, che a bocce ferme per bocca del suo leader conferma: "Votare non conviene al Paese". COMUNI FREDDI - Intanto il testo del decreto sul fisco municipale è stato accolto con freddezza dall'Anci, l'associazione dei Comuni italiani. Secondo il presidente Sergio Chiamparino (sindaco Pd di Torino) il testo contiene "molte incertezze su numerosi punti fondamentali per la vita dei Comuni italiani. Così non va assolutamente e preghiamo il Governo di apportare gli opportuni chiarimenti quanto prima". Per Chiamparino è necessario modificare o introdurre l'aliquota dell'addizionale comunale all'Irpef, consentire ai Comuni virtuosi di trattemere l'incremento di gettito dei tributi devoluti e definire le competenze su Tarsu e Tia. Il leader dell'Anci si è detto disponibile all'apertura di una fase di interlocuzione in conferenza unificata. Se così non sarà, "allora l'Anci non si schiererebbe per evitare inaccettabili torsioni politiche". Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, però, spiega: "L'Anci non l'ha bocciato ma ha fatto una serie di osservazioni e di correzioni. Abbiamo bisogno subito di avere delle possibilità di raccogliere nuove risorse con questa trasformazione, anche per superare i tagli che sono stati praticati dal governo rispetto ai trasferimenti statali ai Comuni".