Belpietro, gli insulti dai pretoriani di Fini e dalla pattuglia futurista
Ci sono i giornalisti, quelli veri, quelli che bastonano il potere berlusconiano e diffondono le notizie di grande importanza, dal caso D’Addario al Bunga Bunga. Ci sono poi i «ricattatori al servizio di un padrone» i quali non hanno «niente a che fare con il giornalismo». I virgolettati sono di Marcelle Padovani, cronista francese molto amica della sinistra, intervistata ieri dal Fatto Quotidiano per commentare lo scoop di Maurizio Belpietro sulle voci che circolano riguardo a Gianfranco Fini, tra escort e attentati progettati per far ricadere la colpa sul Cavaliere. Il giornale di Travaglio ha fatto raccogliere da Beatrice Borromeo, nota paladina della libera informazione e reporter d’assalto, i pareri di una serie di illustri colleghi, allo scopo di dimostrare che il direttore di Libero è niente più di un servo. Anzi, peggio. Perché, dicevamo, ci sono i giornalisti come si deve, tipo Tiziana Ferrario, novella emula di Michele Santoro nel farsi reintegrare al TgUno del terribile e discriminatorio Minzolini, al quale va negato persino il diritto di imporre alla sua testata una linea editoriale, e poi i «cani da riporto» di Berlusconi, per citare una celebre definizione coniata da Eugenio Scalfari. Per chi sta dalla parte rispettabile, ovvero contro Silviuccio nostro, applausi e cappelli levati. Per gli altri, insulti dei peggiori. L’editorialista di Repubblica Curzio Maltese, per esempio, si cimenta in un paragone fra Belpietro e Adolf Hitler, al fine di dimostrare quella che la solita contessina Beatrice Borromeo Vien Dal Mare definisce «una perversione psicologica». Spiega Maltese: «Hitler, com’è noto, ha fatto suicidare la nipote con cui aveva rapporti sessuali. E, guarda caso, accusava i suoi nemici proprio di andare a letto con ragazzine o con parenti. Belpietro ora scrive di un falso attentato e di una escort. Quest’ultima professione è diventata politicamente celebre grazie a Berlusconi, e sugli attentati fasulli il caposcorta di Belpietro potrebbe tenere lezioni. Perché il direttore non indaga sul tizio che avrebbe sparato sulle scale di casa sua e che poi, neanche fosse un caccia americano a prova di radar, è svanito nel nulla?». Lucia Annunziata, dal suo piedistallo, immagina oscure trame: «La vicenda è troppo strana per essere stata completamente inventata, va oltre ogni limite. Penso che dietro ci sia un gioco oscuro. (...) Credo che Belpietro abbia costruito questa storia solo per smontare preventivamente quella vera che potrebbe presto uscire. Però ha esagerato, segno che il gruppo di fuoco della macchina del fango è in grande difficoltà». Rieccola, la macchina del fango, manovrata dai malvagi Feltri&Belpietro, gente che - pontifica Piero Ottone - fa prendere al giornalismo «proprio una brutta piega». Stravaccato nella sua Amaca su Repubblica, anche Michele Serra s’indigna, tinteggiando le notizie di Libero come l’espressione di «un mondo oscuro, colloso, equivoco, nel quale la politica è solo ricatto e minaccia, il giornalismo è allusione e furbizia». Descrivere il direttore di un giornale alla stregua di un cane (possibilmente da abbattere), sostenere che l’attentato da lui subìto (fortunatamente senza conseguenze) sia una bufala sfruttata per fare scalpore, avvicinarlo a Hitler e dipingerlo come un malato di mente è giornalismo. Il resto è “macchina del fango”. Beh, poiché c’è da scegliere, molto meglio il fango: il giornalismo progressista degli insulti se lo facciano loro.