Monopolio delle banche su rame e materie prime

Andrea Tempestini

La quotazione del petrolio flirta con i 100 dollari al barile, l’oro ha frantumato ogni record e i corsi di un ampio ventaglio di metalli industriali sono ai massimi storici. Secondo gli analisti, però, almeno nei primi mesi dei 2011 la corsa al rialzo non è destinata a rallentare. Certo, se da metà novembre il prezzo dell’oro nero è schizzato del 13% ci sono dei motivi:le grandi compagnie cercano di diminurie le riserve di greggio per evitare i carichi fiscali di fine anno. Inoltre, nota il Wall Street Journal, “è indubbia la ripresa della domanda”. Ma siamo sicuri che i prezzi li stabilisca realmente il principio della domanda e dell’offerta? Nel panorama delle commodities, una lampante risposta la offre la trionfale marcia del rame. I futures sul metallo rosso ieri hanno raggiunto (o meglio, ritoccato) il loro massimo storico, arrivando a quotare 9.437 dollari per tonnellata. A due giorni dalla fine dell’anno è tempo di bilanci: i corsi del rame, dall’inizio del 2010, sono schizzati del 28 per cento. Meglio dell’oro, e meglio anche dell’indice Nasdaq, in progressione del 18,5% e spinto da un estate all’insegna delle acqusizioni (su tutte, la “guerra delle nuvole” tra Hp e Dell per accaparrarsi la piccola 3Par). Dietro alla galoppata del metallo rosso ci sono macroscopiche ragioni di mercato. In primis la fame del Dragone cinese, poi quella degli altri tre Bric. Quindi la debolezza - nonché la scientifica svalutazione - del dollaro: se il biglietto verde vale poco, lievitano i prezzi dei beni, rifugio e non. Insomma, la speculazione in senso “classico” fa crescere le quotazioni dei metalli. Ma per il rame c’è in campo anche un altro fattore: quella che si può definire senza mezzi termini  speculazione monopolistica. Se è vero, come è vero, che sul London Metal Exchange (Lme, la Borsa metalli della City) il 90% delle scorte di rame è nelle mani di un solo investitore, è semplice intuire come le naturali dinamiche dei prezzi vadano a farsi benedire. IL CARTELLO DEI "BIG" Non è difficile individuare chi possa esserci dietro una posizione di simili proporzioni. Tra i soliti tre o quattro colossi (i cosiddetti “too big to fail”, le banche troppo grandi per fallire), voci di corridoio puntano  il dito contro JP Morgan. Pochi giorni fa - subito dopo un “misterioso” investimento in rame, sul Lme, pari a 3 miliardi di dollari - la banca fondata da John Pierpont si è sbrigata a smentire: «Non siamo noi il player dominante». Jp Morgan però non ha fornito nessun  dettaglio aggiuntivo sulla sua fetta di mercato. Il Telegraph già lo scorso 6 dicembre aveva azzardato: «Il misterioso compratore è proprio Jp». Ma il quotidiano british si era anche spinto più in là, ravvisando dietro alle manovre sul rame il solito cartello: oltre a Jp, nel quadro entrano Hsbc e Goldman Sachs. Il terzetto, ipotizzavano le colonne del Telegraph, agirebbe di concerto per pompare i corsi del metallo. L’obiettivo, stimolare la produzione necessaria a Jp Morgan per avere più argento, sottoprodotto dell’estrazione del rame, e un metallo su cui l’istituto ha una montagna di posizioni short (ovvero non basate sull’argento fisico) per conto della Federal Reserve, la banca centrale statunitense. Un giochetto intricato, smascherato anche nel 2008 da un impiegato di Goldman che rivelò come la banca manipolasse al ribasso i prezzi dell’argento. Inoltre, il Financial Times ha recentemente scritto che Jp Morgan avrebbe «sileziosamente ridotto un’ampia posizione sul mercato futures (dell’argento, ndr) negli Usa». L’operazione, continua l’Ft, sarebbe avvenuta con l’obiettivo di spegnere le luci dell’indagine aperta dalla Commodity Futures Trading Commission, che indaga sulle manovre di Jp ed Hsbc per distorcere (da anni) i prezzi dell’argento. BOLLE METALLICHE Il rame e il fratello minore dell’oro, però, non sono gli unici metalli sui quali si allunga l’ombra lunga della manipolazione. Per restringere il campo d’indagine al solo mercato londinese, per esempio, si possono citare le posizioni sul nichel e lo zinco. Due commodities su cui tre o quattro “big” controllono una fetta compresa tra il 50 e l’80% non solo dei features, ma anche delle riserve fisiche. I corsi del nichel, per inciso, non conoscono significativi ribassi da ottobre 2008 (quando il prezzo della materia prima era di 4.500 dollari per libbra, contro i 10.822 del 27 dicembre 2010). Bolle metalliche, insomma. E tra queste, nell’anno che sta per concludersi, più delle altre si ricorderà quella dell’oro: il metallo giallo a gennaio quotava circa 1.100 dollari, mentre ieri ne valeva 1.415 l’oncia. In dodici mesi, il balzo è stato del 26 per cento. Certo, futures ed Etf su commodities così volatili non possono fare altro che gola. Ma su un mercato palesemente dominato da pochi players, è meglio farsi furbi diversificando gli investimenti e puntando su posizioni brevi. di Andrea Tempestini