Fini vuole dividere Silvio e Umberto. Bossi prende tempo: "Sto dietro il cespuglio"

Michela Ravalico

Un attacco diretto a Giulio Tremonti e alla Lega. Gianfranco Fini va giù duro con l’unico alleato rimasto a Silvio Berlusconi. Vuole dividere il Cav e il Senatur. Il presidente della Camera sa che, se saltasse l’asse del Nord, avrebbe la strada libera per buttare giù il Cavaliere e diventare premier, come ha confermato in un’intervista a un quotidiano tedesco. Il j’accuse rivolto a Bossi è a tutti i livelli. Innanzitutto politico. Dice che il PdL è una copia sbiadita della Lega:  «Non c’è in nessuna parte dell’Europa, e lo dico a ragion veduta, un movimento politico come il PdL che sui diritti civili è così arretrato culturalmente a rimorchio, anche qui, della peggior cultura leghista». Il leader di Fli bolla come il Carroccio come «egoista».  «Se a Terzigno per esprimere una   protesta si arriva a bruciare il tricolore, e quindi a compiere   vilipendio del simbolo dell’unità dell’Italia, - sottolinea Fini -  vuol dire che si sono   sottovalutate le conseguenze di un egoismo strisciante della Lega». Non è colpa delle brigate rifiuti, che non vogliono adeguarsi alle regole vigenti nel resto del Paese. No, è colpa dei padani. Ma è sul fronte economico che Gianfranco punta dritto contro l’asse Giulio-Umberto: «Per troppo tempo si è sottovalutato quel pericolo strisciante che è il motore della Lega Nord: alla Lega non interessa nulla di quello che accade dal fiume Po in giù». In che senso?  «Bisogna dare una fiscalità di vantaggio al meridione che non va contro il Nord. Certo, se la linea del governo la detta la Lega, non credo che i nostri ministri possono dire che serve una inversione di tendenza. Chi viaggia sa che le imprese del Nord delocalizzano fuori dai confini nazionali - aggiunge il presidente della Camera - e non prendono in considerazione di investire al sud. Una fiscalità di vantaggio sarebbe utile anche al Nord». Il ragionamento di Fini però dimentica un piccolo particolare: come fa un’azienda padana a delocalizzare nel Mezzogiorno se la criminalità detta legge? Solo un ministro leghista è riuscito, col suo impulso, a far arrestare il capo della ’ndrangheta e i maggiori boss di camorra e mafia. Già, ma il compagno di Elisabetta Tulliani fa finta di niente. Inutile arrampicarsi sui valori e i presunti programmi. Il presidente di Fli è semplicemente invidioso «della la Lega, che ha non solo la golden share, ma anche l’iniziativa politica nel governo». La maschera è tolta: Fini vorrebbe sostituirsi al Carroccio e a Tremonti per dettare lui «l’agenda politica». Il tutto senza passare dalla legittimazione popolare. Senza passare dal voto. Semplicemente utilizzando manovrine da prima repubblica: crisi al buio e rimpastone. Con più poltrone per i finiani. Ecco il vero obiettivo della banda futurista. I diritti o il patto sociale sono soltanto scuse.  «Fini? Per adesso sto dietro il cespuglio...», commenta sornione Bossi, dopo un pomeriggio passato a riflettere, sentendo i suoi fidati colonnelli. Non ha voluto aggiungere altro, e si è limitato a rispolverare una sua vecchia battuta, pronunciata qualche anno fa, quando in momenti particolarmente difficili, dava vita a un vero e proprio black out informativo. Parlerà probabilmente domani, a bocce ferme, dopo il vertice con lo stato maggiore padano in via Bellerio. C’è troppa carne al fuoco: il federalismo è alle battute finali. Meglio non forzare la mano per non rovinare tutto con una battuta o una mossa sbagliata. D’altronde il film che vuole Fini ricorda molto quello del 2004, quando approfittò della malattia di Bossi per scaricare Tremonti e imporre la cabina di regia. Per decidere la destinazione della spesa pubblica, l’unico valore di Fini, che adesso chiede l’intervento dello Stato per salvare le Pmi. All’epoca Berlusconi si trovò solo e fu costretto a chiamare Domenico Siniscalco all’Economia. I tempi però sono cambiati: la Lega è molto più forte. Il Senatur non si lascerà intimorire. Spingerà con tutte le sue forze per il voto anticipato, ma solo dopo aver ottenuto il via libera al suo federalismo. Nel frattempo l’Umberto potrebbe giocare una partita diversa da quella del Cavaliere. MA ANCHE LA SINISTRA HA POCO DA RIDERE di Giuliano Zulin Non ci si può fidare di Gianfranco Fini. L'ha capito anche la sinistra, sedotta e abbandonata dal presidente della Camera. Fli, Udc e Pd avevano votato insieme un paio di emendamenti alla Finanziaria, per dimostrare al governo che una maggioranza alternativa c'è. Ma il discorso di Perugia si è trasformato in un getto d'acqua fredda nei visi di Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro. «Non immagino che Fini possa essere con noi per l'alternativa al governo di centrodestra», è l'amaro commento del segretario del Pd. A questo punto  - incalza il leader dell'Italia dei Valori - «chiediamo al leader di Fli di essere coerente: si faccia promotore di una mozione di sfiducia nei confronti del Governo Berlusconi. Noi lo appoggeremo senza riserve. In alternativa, appoggi la nostra mozione di sfiducia, che abbiamo già presentato in Parlamento, e che attende di raggiungere il quorum di firme necessario per essere messo all'ordine del giorno». La sinistra pregustava già un governo tecnico. Walter Veltroni aveva già sondato i possibili candidati. Aveva ipotizzato un modello Ciampi. E invece Gianfranco li ha lasciati lì col cerino in mano. Bersani però non demorde e si aggrappa alla legge elettorale: «Anche tra la nostra gente si comprende posizione che siamo pronti a fare la legge elettorale con chi ci sta e oggi Fini ha detto che quella che abbiamo è una vergogna. Questo tema insieme alla difesa della magistratura, della Consulta e del Presidente della Repubblica si fa con chi ci sta». Cosa non si fa per mandare a casa Berlusconi... DA SINISTRA PRONTI A TUTTO PUR DI FAR CADERE BERLUSCONI di Marco Gorra Ci manca giusto che gli offrano dei soldi. A sinistra, ormai, sono pronti a mettere sul piatto qualsiasi cosa pur di convincere Gianfranco Fini a presentare una mozione di sfiducia contro Silvio Berlusconi. Posto che staccare la spina al governo è prerogativa esclusiva del presidente della Camera – lo ammette candidamente lo stesso Bersani: “Se avessi i numeri in Parlamento io la facevo ieri ” – parte la gara a chi glielo intima meglio. E in maniera più redditizia. Perchè a sinistra nessuno sottovaluta la valenza elettorale della partita in corso. Presentarsi agli elettori brandendo la testa di Berlusconi è il sogno proibito di qualsiasi politico di opposizione, e la prospettiva che a farlo possa essere Fini è raggelante. L’obiettivo, dunque, diventa affiancare agli strattoni alla giacchetta di Fini perché sfiduci il Cav l’anatema preventivo del “guai a te se non vai fino in fondo”. Un’imtimazione, quella della sinistra a Fini, che suona come un appello disperato. Anche nei casi in cui è abbellito con gli artifici retorici più d’impatto. Come nel caso di Antonio Di Pietro: “Fini la domenica si traveste da leader dell'opposizione”, afferma il leader dell’Idv, “e speriamo che domani, lunedì, non cambi di nuovo parere, rinnovando, ancora una volta, la fiducia al governo Berlusconi, come finora ha sempre fatto. Gli chiediamo, allora, di essere coerente: si faccia promotore di una mozione di sfiducia nei confronti del governo”. Sulla stessa linea Sinistra e libertà, secondo cui il presidente della Camera “fino ad ora ha staccato la spina soltanto a parole”. Il Partito democratico, già che c’è, prova anche a mattere le mani avanti. Il duo D’Alema-Bersani, infatti, non ha perso tempo e ha spostato il tiro sul governo di transizione. Dato per morto l’esecutivo in carica e bisognosi di tempo per capire come affrontare la pratica elettorale, i capi del Pd hanno rinnovato a Fini l’offerta di un posto al tavolo del governissimo: c’è da mettere le mani nella legge elettorale, e non è escluso che tra giustizia ed economia non possa venire fuori qualcosa. Qualcosa per arrivare magari fino al 2013, data per la quale Fini ha annunciato l’intenzione di candidarsi a premier, alleato con chi è da vedere.