L'informativa segreta di Maroni
Ci attendono disordini di piazza e un ritorno al terrorismo? Secondo gli analisti delle forze dell’ordine sembra proprio di sì. Gli esperti hanno raccolto confidenze, relazioni di servizio e messo insieme i dati: «I principali gruppi dell’antagonismo - si legge nell’allarmante relazione riservata ora al vaglio del Viminale - nel corso di riunioni organizzative hanno più volte annunciato l’intento di avviare “un nuovo autunno caldo” intervenendo nelle principali mobilitazioni per creare disordine». Insomma, le tensioni di piazza e la congiuntura economica negativa rendono il clima «favorevole ad inserimenti strumentali delle formazioni estremiste intenzionate, specie in occasione di manifestazioni di piazza, ad elevare il livello dello scontro». A rischiare è soprattutto «il sindacato diretto da Raffaele Bonanni che rimane obiettivo di possibili nuove contestazioni in parte ascrivibili anche alle crescenti divisioni di strategia e di metodo che stanno segnando le rappresentanze sindacali». Tra l’altro, l’azione del gruppo Action contro la sede nazionale della Cisl a Roma ha riscosso ampio consenso. Al punto che, secondo quanto trapela, gli esponenti del gruppo di impronta “No Logo/ex disubbidiente” potrebbero presto replicare iniziative analoghe. Andando così a dar vigore a quel Sindacato metropolitano sorto nell’ambito dell’Unione sindacale di Base/USB come ala intransigente e oltranzista, pronta a qualsiasi tipo di conflitto e di scontro. In parallelo, anche nel mondo dei centri sociali si registra «un’accelerazione degli impegni mobilitativi che coinvolge trasversalmente gli ambienti dell’antagonismo, dal movimento di lotta per la casa agli immigrati». Ci sono state di recente alcuni riunioni tra rappresentanti di queste realtà che hanno sollecitato l’attuazione di una strategia di “lotta unitaria” per rendere più efficace l’azione. Da qui l’idea di preparare un calendario di proteste «condiviso» per contestare governo, Confindustria, Federmeccanica e i sindacati di Cisl e Uil. Del resto, sul territorio i fronti caldi sono diversi: alcuni noti, come l’emergenza rifiuti in Campania, e, in generale, ogni azienda a rischio chiusura. Altri, invece, che parevano sopiti, come quello della protesta No-Tav in val di Susa, che può invece provocare nuovi incidenti. «Pericolo concreto» L’Italia è quindi ancora sotto scacco. Ma non è finita. A questo allarme bisogna aggiungere la minaccia eversiva che rappresenta ormai «un pericolo concreto». Perché? Da temere le «attivazioni di matrice anarco-insurrezionalista esplicitamente ispirate all’esperienza della Fai». Si tratta della Federazione anarchica informale, che ha operato fino al 2007 con iniziative violente, raccogliendo sotto di sé 11 sigle che avevano compiuto 27 attentati di varia natura. È questo l’esordio del lavoro degli analisti che il ministro dell’Interno Roberto Maroni sta ora valutando con i più stretti collaboratori, dopo le ultime aggressioni e la manifestazione pacifica della Fiom a Roma. Non è escluso che il Vimanale decida di rafforzare l’attività di monitoraggio sui segmenti più pericolosi dei circuiti dell’anarco-insurrezionalismo. Infatti nel documento, che Libero ha avuto modo di leggere, si sottolinea come «gli aspetti maggiormente preoccupanti» appaiano «la tendenza a “personalizzare” le minacce e la crescente proiezione internazionale della lotta che potrebbe implicare lo sviluppo di sinergie con omologhe realtà all’estero». Da qui potrebbero nascere azioni «dirette soprattutto a colpire obiettivi ritenuti espressione della “repressione di Stato”, ma suscettibili di estendersi anche a problematiche ambientali». Sembra che i gruppi di fede anarchica si stiano riaffacciando all’improvviso, visto che da inizio anno diverse sigle inedite hanno rivendicato attentati e l’esplosione di rudimentali ordigni esplosivi. Obiettivi prediletti le strutture e i rappresentanti delle forze dell’ordine, figure del sistema penitenziario, i centri di permanenza temporanea per gli immigrati. Nelle rivendicazioni più volte si è fatto riferimento ed esaltato l’azione diretta degli interventi, l’impostazione per «l’orizzontalità» e la «informalità» della struttura, sostenute dalla Federazione anarchica informale. Si stanno quindi mappando possibili presenze e azioni delle “Sorelle in Armi/Fai/Nucleo Mauricio Morales” che già hanno rivendicato l’ordigno alla Bocconi e alcuni pacchi bomba spediti alla Lega. Analoga attività per la cellula rivoluzionaria Lambros Fountas mittente del plico-bomba recapitato ai carabinieri di Roma. Caccia all’uomo Gli analisti approfondiscono la «tendenza a personalizzare le minacce», individuando singoli responsabili. È accaduto con la bomba alla Lega quando sono state espresse «intimidazioni ad un appartenente alle forze di polizia per un presunto atto di violenza sessuale ai danni di una cittadina nigeriana» che sarebbe stato compiuto all’interno del Cie di Milano, con la «chiamata in causa, per la responsabilità politica, anche del ministro dell’Interno». L’individuazione di obiettivi umani con azioni intimidatorie collega questi gruppi anche alle cosiddette Cellule di Fuoco di Torino, nucleo José Tarrio Gonzales, in memoria dell’anarchico spagnolo morto in carcere nel 2005. Le cellule sono a favore della «repressione contro la repressione». Indicano gli agenti di polizia da colpire diffondendo periodicamente le immagini di alcuni di loro. E avviano campagne di reclutamento esaltando l’omicidio degli agenti: nel dicembre scorso venne lanciata “Shot the cop in winter” ovvero “Spara al poliziotto in inverno”. Preoccupa anche la ragnatela di rapporti internazionali avviati da queste organizzazioni. Le cellule di fuoco indicano «la necessità a seguire senza esitazioni i compagni greci e spagnoli». Tra l’altro il nome è identico a quello di un analogo gruppo greco che, nell’aprile del 2008, ha consumato azioni anche contro obiettivi italiani. Sempre gli ellenici, tra l’altro, avevano espresso solidarietà al compagno Alfredo Maria Bonanno, storico leader anarco-insurrezionalista, quando venne qui arrestato il 1° ottobre del 2009. Preoccupa anche la ragnatela di rapporti internazionali di queste cellule. Analoga proiezione da parte delle “Sorelle in armi”, che sul web hanno diffuso la proposta di estendere il «patto di mutuo appoggio» della Fai «fuori dagli angusti confini di un singolo paese». La strada cioè è quella di collegare anche i gruppi stranieri «come quelli già esistenti in Cile e Grecia». Del resto la Grecia è un esempio indicato in molto materiale di propaganda che «strumentalizza le tensioni sociali che si sono registrate in quel paese». Da qui le iniziative trans-nazionali di solidarietà e di «azioni violente compiute per esprimere la vicinanza ai compagni colpiti anche all’estero dalla repressione». Come la mobilitazione tra Svizzera e Italia per appoggiare lo sciopero della fame contro l’isolamento nelle carceri elvetiche che colpisce «i prigionieri rivoluzionari detenuti» avviato da una pattuglia di anarchici reclusi a iniziare dal leader Marco Camenisch. Un’area d’azione in cui inserire gli arresti di aprile, quando alcuni anarco-ecologisti tra i quali gli italiani Costantino Ragusa e Silvia Guerini erano stati bloccati in Svizzera e trovati in possesso di esplosivo e di un volantino firmato da quell’“Earth liberation Front” (Elf). In quell’occasione si ritenne che fosse in programma un attentato «ai danni di una struttura di ricerca nel campo delle bio e nanotecnologie». Di certo le «principali prospettive di rischio» riguardano «in misura crescente» le «problematiche ambientali con particolare riferimento alla questione nucleare e alla produzione di alta tecnologia». Per questo «non si esclude» che gli anarco-insurrezionalisti italiani «sviluppino sinergie operative con militanti stranieri al fine di compiere iniziative sia in territorio nazionale sia all’estero». Declino marxista Sul fronte dell’estremismo marxista-leninista sembra non scorgersi un rischio imminente. Sono formazioni avviate al declino, grazie anche ad alcune indagini delle procure che hanno stroncato questa riproposizione, i gruppi di fede anarchica potrebbero invece riaffacciarsi all’improvviso. Certo, la «fideistica certezza nell’immutata validità della prospettiva rivoluzionaria» potrebbe rianimare «l’iniziativa combattente» ma ciò potrebbe avvenire solo «nel medio-lungo periodo». Per coltivare questo piano è anche realistico ipotizzare «tentativi di inserimento» in «contesti sensibili» e ad elevata conflittualità di cellule antagoniste in grado di coagulare forze antisistema. Ma è un’impresa disperata: «Gli ambiti nei quali potrebbe coagularsi una nuova proposta eversiva sono ormai estremamente circoscritti e isolati anche per le profonde trasformazioni intervenute nell’uditorio di riferimento, frammentato e ora privo di una identità operaia». Con le dovute eccezioni. A iniziare da iniziative «particolarmente insidiose» per reclutare nuove leve. Come i manifesti stampati dai Sri/Soccorso rosso internazionale in cui si rievoca la brigatista Diana Blefari Melazzi, morta suicida lo scorso anno, con la stella a cinque punte, la sigla “BR” e la frase «nulla è finito», oltre a slogan come «Questo stato canaglia avrà la nostra mitraglia». I manifesti sono comparsi in diverse città (in Puglia, in Veneto e a Milano) in cui sono attivi i Cpc, ovvero i “Comitati proletari per il comunismo”. Questi esponenti «sono contigui ai militanti del partito comunista politico-militare, ovvero i principali rappresentati in Italia del soccorso rosso internazionale». In quest’ottica «l’uso strumentale del simbolo brigatista, collocandosi in ambiti privilegiati dall’organizzazione, come il mondo del lavoro, esercita maggior impatto evocativo, specie se coinvolge le dinamiche delle relazioni industriali». Come è accaduto con le scritte e Ivrea e a Milano, contro Marchionne e Bonanni. Prima della Melazzi manifesti analoghi erano stati affissi con la foto del terrorista Mario Galesi cercando sempre di «strumentalizzare eventi in modo istigatorio».