Ecco il dossier sulla Marcegaglia
La sua frase preferita è questa: «Il segreto del successo è non accontentarsi mai». E infatti lei, donna di indiscutibile successo, non si è mai accontentata, fin dal giorno in cui decise di venire al mondo. È nata a Mantova, Emma, oggi capo degli industriali italiani, ma mica in un giorno qualsiasi: 24 dicembre del 1965. Onestamente, non sappiamo se intorno alla mezzanotte o con qualche minuto di ritardo, ma presumiamo che la cosa non faccia molta differenza. Giorno particolare, non proprio da comuni mortali, per Emma. Tutti gli altri mangiavano o si preparavano alla festa e Palmira e Steno guardavano la loro secondogenita. Naturalmente, non in una grotta. Casa confortevole. Perché lui, Steno, è il geometra Marcegaglia, idee di sinistra e per alcuni decisamente comuniste, fondatore del colosso dell’acciaio Marcegaglia spa. Sei anni prima, assieme ad un socio, Steno ha rilevato una piccola azienda artigianale per la produzione di tubi da irrigazione e di guide metalliche per tapparelle. È il periodo giusto: in Italia c’è il boom delle tapparelle. Quattro anni dopo l’acquisto, l’azienda non è più tanto artigianale: ha già trenta dipendenti e produce trafilati. Nove anni dopo, ha 250 mila metri quadrati di capannoni. Oggi, il gruppo, interamente controllato dalla famiglia Marcegaglia, ha cinquanta società in Italia e all’estero e 6.500 dipendenti. Fatturato: 4,2 miliardi di euro. La regina dell’acciaio Emma Marcegaglia è una delle donne più ricche d’Italia, ed è anche la regina dell’acciaio. All’epoca, era una bambina del Nord che sembrava una siciliana: capelli nerissimi, pelle olivastra, occhi neri tagliati all’insù. Sognava di diventare una ballerina classica. Ben presto, forse perché non si è mai accontentata, cambiò idea: maturità scientifica al liceo Belfiore di Mantova. Sessanta sessantesimi. Poi l’Università Bocconi. Laurea in Economia azienda (tutte le aziende, non solo quella di famiglia). Poi New York, master in Business Administration. Poi il ritorno in Italia. Gli anni Ottanta stavano per morire, Emma aveva i titoli giusti. Di solito, a questo punto, i padri fanno un discorso: «Figlia mia, che ne pensi di un bel concorso?». Oppure, le propongono di metter su famiglia, comprare una casa col mutuo. Papà Steno chiamò Emma: «Figlia mia, abbiamo rilevato l’isola di Albarella dal Credito svizzero. Te l’affido: vai e fai». L’isola di Albarella, cioè 520 ettari, cioè un centro turistico immobiliare. Naturalmente, non in un posto qualsiasi (ricordate il 25 dicembre?): nel golfo di Venezia, Parco Naturale del Delta del Po. L’isola, 5 chilometri di lunghezza e 1,5 di larghezza, due milioni di alberi e 150 specie arboree differente, è un paradiso più che un semplice centro turistico. «Era un esame, - racconterà poi Emma - un test». Gli amministratori la chiamavano la bambina. Lei aveva ancora i capelli neri e ancora ventiquattro anni. E non si accontentò: due anni di lavoro e il paradiso cominciò a fruttare. Test superato. Papa Steno richiama Emma e le fa un nuovo discorsetto: «Figlia mia, che ne pensi dell’azienda di famiglia?». Cominciò tutto così, nei primi anni Novanta. Emma entrò e ancora una volta non si accontentò di salire i gradini uno ad uno. Prese l’ascensore: direttore dell’ufficio servizi finanziari, poi amministratore delegato, assieme al fratello Antonio, del gruppo e di tutte le società collegate (papà Steno è presidente), poi vicepresidente della Confindustria, poi presidente dei giovani imprenditori, poi presidente degli imprenditori tout court, giovani e anziani, prima donna a ricoprire questo ruolo. Nel frattempo, anche mamma di Gaia. Sempre nel frattempo, visto che non bisogna accontentarsi mai, i capelli corvini sono diventati biondi. E la pelle è rimasta olivastra, gli occhi sono rimasti all’insù. Uno strano miscuglio Strano miscuglio, oggi, la signora Emma: un po’ nordica e un po’ siciliana, un po’ giovane (per l’età) e un po’ anziana (per le tante cose che ha fatto), un po’ berlusconiana (a giudicare da certe sue passate prese di posizione) e un po’ antiberlusconiana (stando alle recenti dichiarazioni). Un po’ qui e un po’ lì. Deve essere un tratto di famiglia: papà Steno, lo abbiamo visto, da alcuni era considerato un acceso comunista. Era geometra e non avvocato. E difendeva i contadini nelle cause agrarie contro i proprietari terrieri. Poi è diventato proprietario, non solo terriero. Papà Steno rimase vittima di un sequestro di persona (ottobre 1982). Cinquantadue giorni di prigionia. E nessun riscatto pagato per essere rilasciato. Storia rocambolesca: si liberò dalle catene, scappò, fu ripreso dai rapitori e fu pure avvistato da un elicottero della polizia mentre stava per essere riportato in Aspromonte. Papà Steno è anche un galantuomo. E il 3 dicembre del 2006 il tribunale di Brescia lo ha condannato a quattro anni e un mese, con interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per il reato di bancarotta preferenziale. Con l’indulto la pena fu ridotta di tre anni. Poi arrivò anche l’assoluzione in secondo grado, Corte di Appello di Brescia. Comunque, Streno Marcegaglia era in ottima compagnia: con lui, Cesare Geronzi, Roberto Colaninno, Stefano Bellaveglia eccetera. Cose che possono capitare a chi fa impresa. Anche il fratello di Emma, Antonio, è un galantuomo. E anche lui ha avuto qualche guaio con la giustizia: ha patteggiato undici mesi di reclusione con sospensione della pena per il reato di corruzione. La Marcegaglia spa non è un galantuomo. Non può esserlo, è una società. E come tantissime altre società non si è fatta mancare i suoi guai giudiziari, tutti risolti con patteggiamenti e sanzioni vari. Beninteso: nulla di particolarmente anomalo in un Paese che ci ha regalato ben altro, tangenti a tutto spiano e corruzione a macchia d’olio e infiniti intrallazzi. Però, nella storia dei Marcegaglia c’è anche questo. Per dirla con Emma e la sua frase preferita: anche loro non si sono accontentati di fare impresa senza incontrare mai un giudice. Ma chissà poi se la colpa è loro o di questo Paese qui, nel quale loro vivono con molto successo. P.S. Le informazioni sulle vicende giudiziarie di cui sopra non fanno parte di alcun dossier. Non vengono dai servizi segreti e non sono neppure frutto di uno scoop. Non ci sono neanche arrivate per e-mail e per raccattarle non abbiamo dovuto sguinzagliare segugi. Sta tutto negli archivi dei giornali e anche su internet. Comunque, se la signora Emma Marcegaglia non dovesse essere d’accordo o dovesse ravvisare qualcosa che non la convince nel ritratto da noi scritto, può sempre telefonarci. Il nostro apparecchio non è sotto controllo. Almeno speriamo. Mattias Mainiero