La giustizia è impazzita
Quello di Repubblica è Quarto Potere, sentinella della democrazia, quello di centrodestra è manganello. Il procuratore Giuseppe Pignatone - quello a cui hanno fatto trovare un rinfrancante bazooka sulla scrivania - anni fa era descritto come un colluso da quella stessa sinistra che oggi lo ripesca in chiave antiberlusconiana. Lo stesso poliziotto che era stato dipinto come un eroe perché aveva difeso Gerardo D’Ambrosio da un attentato, ora, viene guardato in cagnesco perché quindici anni dopo ha fatto lo stesso con Maurizio Belpietro. Quello che a sinistra viene definito giornalismo investigativo - anche quando è materiale giudiziario accattato dai giudici - a destra prende il nome di dossieraggio. Ormai convivono due mondi non comunicanti, ciascuno coi propri giornali, le proprie convinzioni incrollabili, emisferi paralleli dove i buoni e i cattivi si specchiano nei loro opposti: Renato Schifani è il rispettato presidente del Senato in un Italia ed è un mezzo mafioso in un’altra, Roberto Maroni è l’efficiente ministro dell’Interno in una certa Italia ed è un incassatore di mazzette secondo l’Espresso, il leader di Confindustria Emma Marcegaglia era ritenuto un potenziale ministro berlusconiano e ora sta denunciando minacce berlusconiane a mezzo segugi e dossier inesistenti. Che cosa si è frapposto? La giustizia, questa. Perché questa non fisiologia del bipolarismo, e non sono neppure echi e riflessi dell’eterno referendum pro o contro Berlusconi: questa è una giustizia impazzita che s’insinua in ogni contrapposizione e la inquina, se necessario la crea, divide e impera. È vero, sì, la stampa di centrodestra non si sarebbe mai sognata, anche solo un anno fa, di invocare un interrogatorio per Gianfranco Fini a proposito della solita casa di Montecarlo: ma suona paradossale nondimeno immaginare, anche solo un anno fa, che la sinistra potesse non trovare nulla di strano nel dettaglio che l’ex leader di An, chiamato in causa, non sia neppure mai stato ascoltato da nessuna procura. E come potrebbe, il popolo di centrodestra, non pensare che sia sotto qualcosa? Come potrebbe non pensare che Berlusconi, sarebbe stato chiamato a deporre dieci volte? E che lo stesso Fini, anche solo un anno fa, prima dello scisma, lo sarebbe stato a sua volta? Forza, diteci che non c’è un problema giustizia in questo Paese, meglio: diteci che questa giustizia non è impazzita e non è diventata espressamente il problema di questo Paese. E per una volta non s’intende l’emergenza giustizia dei comuni mortali, quella che necessita di minimo cinque anni per un penale, da otto a trenta per un civile, di sette anni per un’usura di primo grado. E non s’intende neppure quella giustizia che scoraggia chiunque vorrebbe provare a investire in Italia, quella che può bloccare o congelare qualsiasi iniziativa in qualsiasi momento, quella fatta di inchieste paludose e sequestri cautelari che bruciano tempo e miliardi. Se la giustizia è il problema di questo Paese è perché ormai determina la politica, crea appositi partiti o li divide, li spacca, butta giù ministri e governi, inquina e invade i processi legislativi: col paradosso che ci siamo ormai assuefatti allo scardinamento politico e culturale che una parte minoritaria ma vincente della magistratura riserva a tutto ciò che tocca. Perché non c’è caso politico che non riguardi la giustizia e non si parla di giustizia se non riguarda la politica. Perché questa, di giustizia, serve soltanto ad aizzare e armare un bipolarismo malato, serve soltanto a sibillare due Italie parallele che non dissentono più una con l’altra ma si criminalizzano, si insultano, si odiano, se ne fottono di ciò che è vero e di ciò che non lo è. È una giustizia che non divide gli innocenti dai colpevoli, ma i tuoi dai miei. E’ la giustizia di un Paese senza sfumature, bianca o nera, un deserto politico in cui tutti sono guardie e tutti sono ladri.