Fini è diventato il Cav dei poveri
Dunque, se ho capito bene, Fini ieri ha fondato un partito dal quale per prima cosa escluderebbe Fini. Lo ricordate il vecchio motto di Groucho Marx? Diceva: «Non mi iscriverei mai ad un club che mi accettasse tra i suoi soci». Ecco, appunto: ieri il presidente della Camera era su quella lunghezza d’onda, ma non diteglielo che sennò si monta la testa. Che ci volete fare? Da qualche tempo quando sente parlare di un qualsiasi Marx si emoziona. Comunque era molto marxiano (nel senso del comico), raccontano quelli che hanno avuto modo di ascoltarlo: «Voglio un partito unito, senza scissioni, senza liti, senza personalismi», diceva. Senza Fini, appunto. «Siamo tutti sulla stessa barca», ha aggiunto, «bisogna stare uniti e remare nella stessa direzione». Che è un po’ come se Giuda, subito dopo il famoso bacio, avesse chiamato a raccolta gli apostoli nel nome della lealtà, gridando: «Basta con questi traditori». Non vuole colonnelli, Gianfranco, non vuole ribellioni, probabilmente non vuole nemmeno dibattito interno, come non ne ha mai voluto in An. Diceva che il PdL era una caserma, adesso vuol fare di Futuro&Libertà una nave: nave scuola o galera? Certo che è bizzarro l’appello di Fini: sta fondando un partito che nasce sul dissenso, anzi: per rivendicare il diritto al dissenso, e per prima cosa che fa? Cerca di impedire altre forme di dissenso. Per esserne sicuro non accetta nemmeno cofondatori, corre alla Fausto Coppi, un uomo solo al comando, così evita il rischio di trovarsi qualcuno che mentre parla, magari durante una direzione nazionale, si alza in piedi e gli punta il dito contro, minacciandolo «Altrimenti che fai? Mi cacci?». La scena vi ricorda qualcosa? Beh, in effetti, come dicevano i vecchi, che sono sempre saggi: chi di scissione ferisce, di scissione perisce. Il timore, da quelle parti, dev’essere forte: Futuro&Libertà, d’accordo, ma intanto, nell’attesa di avere un futuro, meglio cominciare con il non avere troppa libertà. In fondo è chiaro: l’obiettivo del presidente della Camera era quello di avere il suo partito strapuntino, un luogo politico dove poter cantare «e qui comando io, e questa casa mia, ogni dì voglio sapere chi viene e chi va». Gigliola Cinquetti forever, insomma. «Quando la luna / la cambia di color / vieni che è l’ora / vieni che è l’ora». Per Gianfranco l’ora, evidentemente, è arrivata, la luna e il suo passato hanno cambiato di colore. E il carattere pretestuoso di tutta l’operazione è facile da dimostrare: se davvero al presidente stava a cuore la navigazione, perché «siamo tutti sulla stessa barca» non ha cominciato a dirlo qualche settimana fa? Perché adesso invita tutti a «remare nella stessa direzione» e finora invitava a remare in direzione opposta, con la stessa coordinazione di una manciata di piume d’oca finite per caso in centrifuga? In realtà è tutto chiaro, ormai: Fini voleva avere il suo piccolo feudo personalizzato, un logo da mettere sulla camicia come le iniziali di famiglia, lo stemma araldico della casata dei Tullianos. Il suo partito, insomma, anche se a lui adesso non piace chiamarlo così. No, la parola “partito” non è elegante. E così usa un’espressione innovativa: «Movimento di opinione organizzato». Perfetto, no? Non partito, ma movimento di opinione organizzato. È come se uno dicesse: non gioco a palla, gioco con uno oggetto sferico ricoperto di cuoio e atto ad essere preso a pedate. Oppure: non infilo le pantofole, ma delle calzature molto comode solitamente usate per il relax domestico. A Gianfra’, per cortesia, parla come mangi. O stiamo giocando alla settimana enigmistica? Una certa contorsione linguistica, per altro, è evidente in tutto il discorso di Fini, che nei panni dell’ostetrico non si trova a suo agio (meglio in quelli del becchino, a quanto pare): «La riunione di oggi», avrebbe infatti detto, secondo quanto riporta l’agenzia Agi, «è una delle più importanti per arrivare al percorso che ci porterà al nuovo soggetto politico, che oggi viene concepito e poi crescerà più avanti». E che è? De Mita in sedicesimo? La reincarnazione di Fanfani? «Arrivare al percorso che ci porterà»? Non siamo nemmeno ancora arrivati al percorso? E perché il «nuovo soggetto politico» oggi concepito crescerà solo più avanti? È una fecondazione assistita? «Quello che ci serve adesso», ha concluso Fini, «è lo sforzo di elaborazione del messaggio individuando innanzitutto un manifesto valoriale». Ecco sì: lo sforzo, l’elaborazione, il messaggio. E il manifesto valoriale. Ma anche un traduttore politichese-italiano, magari. Per il resto, però, alcune cose sono piuttosto chiare. Fini non vuole colonnelli né sottotenenti: si basta da sé come generale factotum. Non vuole nemmeno personalismi né gelosie, dal momento che riesce a produrne da solo in abbondanza. Poi non vuole falchi né colombe: avendo già uccellato gli italiani non vuol più saperne di altri volatili. «Il nuovo soggetto non sarà un An in piccolo ma un PdL in grande», ha aggiunto gonfiandosi come un palloncino colorato. Come faccia a fare un PdL in grande con Granata, Bocchino e Briguglio è difficile da dire, ma il presidente della Camera ormai è lanciato e non si ferma più, anche se nel frattempo aspetta con ansia il manifesto valoriale e l’elaborazione del messaggio: «Ho passato il guado, non commetterò gli errori del passato», dice. Si capisce: se non altro non litigherà più con il leader del suo partito, essendo egli medesimo leader unico e indiscutibile. A meno di clamorose crisi di schizofrenia, naturalmente. E intanto «prepariamoci alle urne», perché è pur vero che «siamo tutti sulla stessa barca», ma intanto la barca del governo è meglio se affonda, compresi i ministri di F&< che ci stanno sopra. Così va il mondo di Gianfry: la seduta è tolta, arrivederci alle prossime tappe, che naturalmente servono «per arrivare al percorso». A novembre tutti a Perugia, poi a gennaio a Milano. «A me piace giocare in trasferta», dice Fini. Sarà. Però, per essere uno che gioca in trasferta, non sembra disposto a muoversi troppo dalla sua poltrona.