Libia, Frattini e Maroni concordi: "E' stato un incidente". La Cei: governo inerte

Eleonora Crisafulli

I vescovi non credono alla versione dell'incidente tra la motovedetta libica e il peschereccio. E bacchettano il governo. "Assistiamo a una vera e propria inerzia del governo italiano" ha detto il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, presidente del Consiglio Cei per gli Affari giuridici. "Quello che preoccupa molto - dice  mons. Mogavero - è che non ci sia nessuna iniziativa politica che metta mano quanto meno ad affrontare la questione della competenza circa le acque del Mediterraneo". "Noi siamo molto preoccupati - aggiunge - per la facilità con cui si mette mano alle armi e si attenta alla vita delle persone". Maroni: solo un incidente - “Penso che si sia trattato di un incidente grave, ma pur sempre un incidente. Quello che è successo l'altroieri sera è un fatto che non doveva accadere e la Libia si è scusata”. Così il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, commenta il mitragliamento a un peschereccio mazarese da parte dei libici, intervenendo nel programma Mattino 5. “Io immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave con clandestini – si augura Maroni - ma con l'inchiesta verificheremo ciò che è accaduto. Voglio capire quello che è successo: la motovedetta libica è una delle sei che abbiamo consegnato al paese nordafricano sulla base di un accordo siglato nel 2007 dall'allora ministro Giuliano Amato”. A bordo, ha precisato, “ci sono militari italiani che per un periodo forniscono assistenza tecnica ai libici, ma non hanno funzioni di equipaggio”. Per questa ragione, sulla motovedetta che ha aperto il fuoco erano presenti uomini delle Fiamme Gialle: “Ieri abbiamo ricevuto il loro rapporto, non sono stati coinvolti nell'operazione e oggi faremo una riunione al ministero per verificare ciò che è accaduto. Penso che si sia trattato di un incidente grave, ma pur sempre un incidente: studieremo le misure perché non accada più”. La replica del comandante della nave - Impossibile scambiare un moto-peschereccio di 36 metri con un barcone. Così, Gaspare Marrone, il comandante dell'imbarcazione Ariete - colpita a mitragliate dalla motovedetta libica - smentisce dai microfoni di Radio 24 l'ipotesi del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il comandante, Marrone, aggiunge anche un pizzico di polemica "Se erano clandestini - si domanda - li ammazzavano tutti?" . E poi ricorda come lui "abbia personalmente salvato tanti migranti in mare". Il racconto di Marrone continua: "ho parlato personalmente con un italiano a bordo della motovedetta. libica Parlava italiano meglio di me gli ho chiesto se era un ufficiale italiano, ma non mi ha risposto. Mi ha detto che se non mi fossi fermato, avrebbero aperto il fuoco". Il comandante dell'Ariete riferisce che "era in acque internazionali. Mi sono identificato come moto-peschereccio, col numero di matricola e nazionalità. Ho chiesto che se mi avessero dovuto controllare, lo facessero in presenza di autorità italiane. Ho avuto paura di essere sequestrato e portato in Libia. Perché‚ abbiamo esperienza del sequestro che fanno loro e di come ci trattano". La Farnesina: "è stato un incidente" e non cambierà i rapporti tra i due Paesi. Bisogna comunque stringere un accordo sulla pesca.  "C'è un dato di fatto che va avanti da molti anni - spiega Frattini - quello dello spazio marittimo che ad avviso della Libia è mare territoriale libico nel quale pacificamente pescano i pescherecci anche italiani. In molti casi non accade nulla in altri ci sono incidenti, come sequestri di pescherecci sino al grave incidente di ieri. Il problema è in corso di negoziato da almeno un anno, in Tunisia per regolare un analogo problema sono stati necessari sette anni. Abbiamo cominciato a lavorare per definire un accordo di pesca italo-libico". In ogni caso, il ministro Frattini mercoledì alle ore 15 riferirà quanto accaduto alla Camera. L'ingaggio - "Altra cosa è la questione delle regole di ingaggio". Secondo il ministro degli Esteri, le regole previste dall'accordo vanno ora "chiarite e integrate". La Farnesina ha attivato "l'ambasciata d'Italia a Tripoli per acquisire, in raccordo con le competenti autorità libiche, dettagliati elementi sulla vicenda e per accertare l'esatta dinamica dei fatti, alla luce dello stretto rapporto di collaborazione fra i due Paesi". La risposta del governo di Tripoli non si è fatta attendere: "Le autorità libiche hanno nominato un comitato d'inchiesta sui motivi dell'incidente, un comitato aperto anche agli italiani che vi potranno partecipare", ha annunciato l'ambasciatore libico in Italia Abdulhafed Gaddur. "Il rapporto particolare tra Tripoli e Roma - ha aggiunto - continuerà e non sarà condizionato da questo incidente". Il primo a scusarsi con le autorità italiane era stato il capo della Guardia costiera libica, ha detto Frattini, spiegando che "il comandante libico ha ordinato di sparare in aria anche se poi purtroppo i colpi sono arrivati sulla barca italiana. Certamente a bordo vi era un militare della Guardia di Finanza e personale tecnico della Gdf: questo è stabilito dall'accordo originario italo-libico firmato nel 2007 dal governo Prodi e poi integrato dal ministro Maroni nel 2009. Quegli accordi sin dal primo giorno stabiliscono che il comando è ovviamente degli ufficiali libici. I nostri uomini - ha assicurato - non hanno minimamente preso parte, come è ovvio, all'operazione". Ma le regole d'ingaggio ora "vanno chiarite e integrate". Il Viminale ha disposto un'inchiesta per accertare se nella vicenda emerga un'utilizzazione dei mezzi donati dall'Italia per potenziare il contrasto all'immigrazione clandestina "non coerente" con le previsioni del Trattato firmato nel 2007. Tutte e sei le motovedette consegnate dall'Italia a Gheddafi battono bandiera libica e sono a tutti gli effetti mezzi navali del paese nordafricano, anche se possono avere militari italiani a bordo: l'accordo prevede infatti che per un periodo uomini della Guardia di Finanza svolgano sulle motovedette la funzione di osservatori e consulenti tecnici. Le unità, inoltre, sono state consegnate senza le armi di bordo e per questo non si esclude che i libici possano aver fatto fuoco con le armi della loro dotazione personale.