Andreotti al 91°
Ma benedetto Giulio, novantuanni in salsa arcivescovile: sempre perfetto, mai una sbavatura, ha mantenuto una frequenza cardiaca alla Valerj Borzov anche quando il Paese si tingeva di rosso-brigata o peggio lo additava come il capo di tutti i mafiosi della Via Lattea: e adesso, in zona Cesarini, anzi in zona Ambrosoli, gli scivola una frase che non sarebbe scivolata neanche a un leghista incazzato dopo una sconfitta dell'Atalanta: «Ambrosoli se l'è andata cercando». E hai voglia a smentire come un qualsiasi dilettante da Seconda Repubblica: col rischio che ci si dimentichi - ma non lo farà Antonello Piroso, su la 7, domenica sera - le cose buone che legano Andreotti ad Ambrosoli. Per esempio la sua reazione quando gli dissero che Ambrosoli era stato minacciato: «Nessuna» annotò l'avvocato di Sindona. Per esempio ciò che annotò sul suo diario, con virulenta passione civile, nel giorno in cui Ambrosoli fu trucidato: «Oggi», scrisse il divo Giulio, «ho incontrato il presidente della Tanzania». Nient'altro. L'omicidio di Mino Pecorelli però se l'era segnato. Parliamo del primo ministro Andreotti che incontrò l'avvocato di un latitante, Sindona appunto, e che poi lo spedì a interloquire col piduista Gaetano Stammati in un simpatico intreccio di mafia, massoneria, P2, Dc e Vaticano. Benedetto Giulio, ma che volete da lui? Gli è solo scappata una battuta a novant'anni: doveva scappargli a sessanta?