Dissocial network

Paolo Franzoso

Immaginarsi, vent’anni fa, un giornale che al solito ping pong politico avesse dedicato dei titoli come questi: «Andreotti: no alle verifica», oppure: «Craxi: elezioni anticipate». Verosimile. Immaginarsi, poi, che nella stessa pagina fossero comparsi anche dei titoli come quest’altri: «Gli ignoranti: è tutto un magna magna», oppure: «Scritta sui cessi dell’Autogrill: Kossiga boia». Sarebbe stata un’assurdità, ovvio: perché dar spazio a opinioni anonime e non rappresentative? Perché trovare interessante quel sottostrato qualunquista e rozzo che è sempre esistito e che quasi mai è indicatore di qualcosa? Bene: occorrerebbe chiederselo, oggi, di fronte all’assurdo florilegio di titoli genere «Il popolo del web: nessuna lacrima per Cossiga» come da Corriere della Sera di ieri. Ma popolo de che? In Italia gli utenti del web sono quasi 25 milioni: possibile che debbano considerarsi distintivi quattro decerebrati in incognito che imbrattano i soliti siti? Non sono archetipi di niente: sarebbe come, appunto, definire «popolo dell’Autogrill» i grafomani da latrina,  o peggio considerare sintomatici quei poveretti che lanciano sassi digitali e nascondono la mano, cioè il mouse.  I peggiori restano quelli di Indymedia: si chiama così, forse, perché oltre la terza media non sono andati.