Fiat, è nata la nuova società Pomigliano
Pomigliano si stacca da Fiat. È nata una nuova società, la Fabbrica Italia Pomigliano, che controllerà lo stabilimento ex Alfa dove - in base agli accordi presi - sarà prodotta la nuova Panda. La società Fabbrica Italia Pomigliano è stata iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio. È controllata al 100% da Fiat Partecipazioni, ha un capitale di 50.000 euro e il presidente è Sergio Marchionne. La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom. Con questa mossa Fiat potrebbe essere costretta a uscire da Federmeccanica, il braccio di Confindustria delle aziende metalmeccaniche. Infatti, in base ai contratti nazionali che Federmeccanica e i suoi aderenti sottoscrivono, la costituzione di nuove società entro il perimetro della stessa azienda non è previsto. Il futuro di Fiat - Dopo la decisione di spostare la produzione della nuova monovolume in Serbia, la politica sta per entrare in campo. Ieri, alla vigilia dell'incontro tra rappresentanti del Lingotto, del governo e dei sindacati, ha parlato Saacconi. Per il ministro del Welfare, «La posta in gioco non è solo la saturazione dell'impianto di Mirafiori e gli investimenti a Pomigliano e negli altri siti, che pure sono importanti, la posta in gioco è ancora più alta e io mi auguro che tutti vogliano essere responsabili nella misura richesta da questo tornante della storia». Un messaggio particolare per la Cgil: «è un’occasione di rientrare in gioco e mi auguro che voglia sfruttare questa occasione riflettendo sull'autoisolamento di questo periodo della vicenda Fiat». Convergenza tra le parti - Tra il Lingotto e i sindacati non dovrebbe esserci quindi uno scambio, ma si potrebbe parlare piuttosto di «una convergenza verso un interesse condiviso, quello fra lavoratori da un lato e azienda dall’altro, a che gli investimenti si possano fare perché ci sarà una ragionevole certezza di un buon ritorno di essi garantito da una buona produttività del lavoro, da un’efficiente utilizzazione degli impianti, da corretti comportamenti sindacali dismettendo definitivamente anche quelle forme di conflittualità selvaggia e microconflittualità che in genere sono fatte da minoranze ma che danneggiano la maggioranza dei lavoratori».