Fini strilla come Di Pietro

bonfanti ilaria

Ieri l'onorevole Denis Verdini ha rassegnato le "dimissioni irrevocabili" da Presidente del Credito Cooperativo Fiorentino e da componente del Cda della banca. Ed ecco, immediato, l'affondo di Fini. "Inopportuno conservare incarichi se indagati", ha detto il presidente della Camera in collegamento telefonico con la convention campana di Generazione Italia. La guerra tra finiani e pidiellini continua. Nel weekend a finire nel mirino della guerriglia tra le due fazioni del partito di maggioranza era stato Fabio Granata, finiano doc. Oggi è di nuovo il turno di Verdini, coordinatore nazionale del Pdl e potente imprenditore toscano. La strategia di Fini ricorda molto da vicino il modo di procedere che negli anni ha contraddistinto Tonino Di Pietro: il presidente della Camera attacca tutti i "berlusconiani" finiti nella rete delle inchieste (l'ultimo in ordine di tempo è stato appunto Verdini) e, alla faccia del garantismo, ne invoca le dimissioni senza se e senza ma. Dall'altra parte, vengono dipinti come paladini della democrazia tutti coloro - Fabio Granata è l'ultimo in ordine di tempo - che a vario titolo si scagliano contro il premier. Le dimissioni - L'onorevole Verdini risulta indagato, insieme a Marcello dell'Utri, Flavio Carboni e Massimo Lombardi, per "violazione della legge sulla costituzione di società segrete" nell'ambito della cosiddetta P3 e nel filone d'inchiesta sugli appalti per gli impianti eolici in Sardegna. "In questi mesi si è abbattuta sulla mia persona e, indirettamente, sul Credito Cooperativo fiorentino, una tempesta mediatica e giudiziaria di ampie proporzioni, rese certamente più eclatanti dal ruolo politico che rivesto", ha dichiarato Verdini. "Sono assolutamente certo di poter dimostrare, e lo farò nelle sedi opportune, la mia estraneità da ogni illecito che mi viene in questa fase addebitato. Tuttavia devo prendere atto che la rilevanza assunta dai fatti che mi vengono imputati - rilevanza che va bene al di là del merito stesso dei problemi - rischia di gettare un'ombra sulla banca". Assieme a Verdini hanno scelto di rimettere il mandato tutti i consiglieri della banca. L'interrogatorio - E' durato più di 8 ore l’interrogatorio per Verdini, accompagnato alla Procura di Roma dai legali Franco Coppi e Marco Rocchi. Il coordinatore del Pdl, interrogato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Rodolfo Sabelli. Venuto a conoscenza della richiesta avanzata da Fini, Verdini ha dichiarato ai giornalisti: "Beh, bisogna vedere per quali motivi le ha chieste. Forse lui conosce questo procedimento? Mi risponda... Direi che è largamente impropria questa sua richiesta". Poi ha detto chiaramente di non avere intenzione di lasciare il partito: "Non avevo alcun peso da togliermi, ho dato ai magistrati risposte alle loro domande. E sono tranquillo. Con le risposte che ho dato questa sera, penso di non aver alcun motivo per dare le dimissioni".   E ancora: "In politica bisogna dare delle risposte ed essere coerenti con se stessi e con quello che abbiamo intorno. La richiesta di Fini è impropria perché io sono un semplice indagato e perché in Italia esistono tre gradi di giudizio. Forse è doveroso ascoltare la voce della difesa e questo vale per Fini e per tutti quelli come lui".   L'affondo di Fini e Bocchino - Ieri era stato il sodale Bocchino a parlare. Il braccio destro di Fini aveva invitato Verdini a dare le dimissioni anche dal governo, e non solo dal Credito Cooperativo. Poi è giunta la "benedizione" di Fini: "Quando si pone la questione morale non si può essere considerati dei provocatori e non si può reagire con anatemi o minacciando espulsioni che non appartengono alla storia di un grande partito liberale di massa", ha detto prima Fini, riferendosi palesemente al caso Granata. Infine: "C''è da chiedersi se è opportuno che chi è indagato abbia incarichi politici". Anche oggi il finiano Bocchino dà manforte all'ex di An: Verdini dovrebbe preservare il Pdl come preserva la sua banca, dimettendosi. "Quando Fini pone la questione dell’opportunità della permanenza in incarichi politici di persone indagate non intacca il garantismo ma invita a riflettere su una questione tutta politica legata a episodi di malcostume. Tale valutazione, peraltro, non ha l'obiettivo di danneggiare il partito, ma di preservarlo nel mercato elettorale così come Verdini ha preservato nel mercato creditizio la sua banca con le dimissioni". Granata non si tocca - "Tutte le idee possono essere contrastate, ma combattere le idee con gli anatemi o peggio con le espulsioni ha ben poco a che vedere con un partito liberale", così Fini risponde a chi nel Pdl ha chiesto sanzioni contro il finiano Granata. E il Presidente della Camera aggiunge: "Parlare di legalità non vuole dire essere provocatori, ma è una delle bandiere più belle che il Pdl può portare" ha concluso. Reazioni - Per Bondi, così, Fini va oltre il suo mandato istituzionale e dovrebbe lasciare l'incarico.  "Credo - afferma Bondi in una nota - che non ci siano precedenti in Italia di interventi così marcati e ripetuti nel dibattito politico da parte di chi ricopre il ruolo di presidente della Camera. A prescindere dai contenuti delle opinioni politiche espresse si finisce per venir meno in questo modo ai doveri che il proprio ruolo istituzionale impone e si sacrificano le istituzioni di garanzia". Per Capezzone, portavoce del Pdl, se trionfa la linea finiana "vorrà dire che trinonferà la linea dipietrista", alias giustizialista.