Pisanu: "Ci fu una specie di trattativa fra mafia e Stato"

Paolo Franzoso

"E' ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosanostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della borghesia mafiosa". Il presidente della commissione parlamentare bicamerale Antimafia, Giuseppe Pisanu, ha illustrato quest'oggi la sua relazione sulle convergenze e i rapporti fra mafia e le istituzioni nella stagione 1992-93. Sotto "inaudite ostentazioni di forza" - secondo la ricostruzione di Pisanu  'I grandi delitti e le stragi di mafia 1992-1993' - ci fu "qualcosa del genere" a una trattativa fra esponenti governativi e rappresentanti di Cosanostra. Stragi e intrecci a parte, Pisanu precisa, sul finire della sua presentazione, che la mafia "ha forse rinunziato all’idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato, ma non ha certo rinunziato alla politica". "Al contrario - dice Pisanu - con l’espandersi del suo potere economico ha sentito sempre più il bisogno di proteggere i suoi affari e i suoi uomini. Specialmente con gli strumenti della politica comunale, regionale, nazionale ed europea"."La spaventosa sequenza del 1992-93 ubbidì ad una strategia di stampo mafioso e terroristico - scrive il presidente della commissione Antimafia - ma produsse effetti divergenti: perché‚ se da un lato determinò un tale smarrimento politico-istituzionale da far temere al presidente del Consiglio in carica l’imminenza di un colpo di stato; dall’altro lato determinò un tale innalzamento delle misure repressive da indurre Cosanostra a rivedere le proprie scelte e, alla fine, a prendere la via, finora senza ritorno, dell’inabissamento". Pisanu ricostruisce nel dettaglio i vari passaggi degli "omicidi eccellenti" e delle stragi a partire da quella mancata dell'Addaura, citando che ormai vi sono notizie "abbastanza chiare" su due trattative: quella tra Mori e Ciancimino  "che forse fu la deviazione di un'audace attività investigativa" e quella tra Bellini-Gioè-Brusca-Riina, dalla quale nacque l'idea di aggredire il patrimonio artistico dello Statò. Pisanu ha osservato che l'elemento probabilmente sottostante al confronto mafia-stato era quello di costringere all'abolizione del 41 bis e a "ridimensionare tutte le attività di prevenzione e repressione". Per avallare la sua tesi, il presidente cita una "singolare corrispondenza di date che si verifica, a partire dal maggio del 93, tra le stragi sul territorio continentale e la scadenza di tre blocchi di 41 bis emessi nell'anno precedente". "Indagheremo le relazioni tra mafia e politica- termina la relazione, Pisanu - ma con un’avvertenza per me decisiva" perchè "di fronte ad eventi terribili si giustappongono senza mai fondersi tre verità, quella giudiziaria, quella politica e quella storica, che si basano su metodi di ricerca e su fonti diverse con la conseguenza di dare luogo a risultati parziali e insoddisfacenti" cosa che è "nella maggioranza dei casi inevitabile". Quindi "la verità politica interessa tutti noi per cercare di spiegare ai nostri elettori quale pericolo ha corso la democrazia in quel biennio e come si è riuscito ad evitarli”. Grasso: "Nessuna prova" - "Le teorie sono belle, ma abbiamo bisogno delle prove giudiziarie da un punto di vista penale". Il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, commenta così la relazione di Pisanu. A margine dell’audizione sul ddl intercettazioni in commissione Giustizia alla Camera, Grasso sottolinea che di una connivenza tra mafia e politica a seguito delle stragi '92-'93 "purtroppo si è sempre detto, ma le ipotesi costruite su tanti fatti non hanno mai consentito, anche se abbiamo sempre le speranza che ciò avvenga, di trovare la prova penale, che deve essere personale e individualizzata nei confronti di persone fisiche".