La Cassazione: "Vaff" si può dire, ma solo ai colleghi

Roberto Amaglio

Passi per gli stipendi, gli orari più flessibili e gli avanzamenti di carriera, ma togliere ai dipendenti pure la democraticità degli insulti è veramente un colpo basso. La Cassazione ha infatti stabilito oggi che si può dire “vaff...” o “str…” a un collega, mentre tali ingiurie non possono essere riferibili impunemente al proprio capo. Il caso da cui nasce la sentenza ha riguardato un'impiegata che aveva insultato una dirigente ad Ascoli Piceno. Facile da descrivere lo scenario del diverbio, con le due donne in disaccordo sulla gestione di una pratica. La dipendente ha iniziato con un “cretina”, continuando con “str…” e concludendo la frase con un perentorio “vaf...”. Ora, dopo i verdetti sfavorevoli del giudice di pace e del tribunale in secondo grado, anche la Cassazione ha dato torto alla donna, non per la natura degli insulti, bensì perché lo scambio ingiurioso è avvenuto tra persone di diverso grado. Secondo i supremi giudici, infatti, se il colorito diverbio avviene tra colleghi o pari grado, questo rende l'insulto inoffensivo. Non vale tale ragionamento, invece, se le espressioni pepate vengono rivolte a un superiore. Così l'impiegata dovrà risarcire al capo 1200 euro di spese legali, oltre a una cifra che sarà liquidata dal giudice civile.