Maledetti evasori, ci porteranno alla rivolta fiscale

Albina Perri

di GIAMPAOLO PANSA- Le parole più dure sul fisco italiano le ho sentite da un americano. Alla fine di maggio ero a Gorizia, per partecipare al VI Festival internazionale “èStoria”, organizzato da un grande libraio-editore, Adriano Ossola. Tra gli invitati c’era Edward Luttwak, un personaggio conosciuto anche in Italia poiché compare spesso nei talk show televisivi. Sentite che cosa ha detto Luttwak: «Innanzitutto al vostro paese è necessaria una rivolta fiscale. Lo Stato è corrotto e sa di esserlo. Per questo motivo, non può esercitare nessuna autorità morale sui cittadini». Luttwak è un intellettuale di destra, che negli Stati Uniti ha lavorato per i governi repubblicani. In un paese come il nostro dove molti intellettuali, sia del centro-sinistra che del centro-destra, hanno paura di parlare con schiettezza, lui si fa notare sempre per la ruvida franchezza delle opinioni. E da questo punto di vista, a Gorizia non ha deluso chi lo ascoltava. Sentite che cosa ha detto Luttwak: «Innanzitutto al vostro paese è necessaria una rivolta fiscale. Lo Stato è corrotto e sa di esserlo. Per questo motivo, non può esercitare nessuna autorità morale sui cittadini». Poi ha aggiunto altri giudizi brutali. Li ricavo da una buona cronaca di Christian Seu, del “Messaggero Veneto”, quotidiano di Udine: «L’Italia ha bisogno di ripartire da una riforma minima: abolizione delle province, via anche il Senato, dimezzare i salari dei giudici. Questi sarebbero i primi passi. Non è possibile che il presidente della provincia autonoma di Bolzano guadagni più di Obama o che il Texas abbia un quinto degli amministratori del Molise». Mi sono ricordato delle parole di Luttwak quando ho sentito il governatore della Banca d’Italia parlare dell’evasione fiscale. Nella sua relazione di fine maggio, Mario Draghi ha additato i veri colpevoli della macelleria sociale di cui tanto si parla. Sono coloro che non pagano le tasse, a volte del tutto, altre volte molto meno del dovuto. È esattamente quello che pensa il sottoscritto, contribuente sempre fedele. L’evasore ruba al prossimo. Lo obbliga a pagare anche per lui, perché di fatto impedisce una riduzione delle aliquote. Così facendo, diventa un nemico della democrazia fiscale. E in definitiva si rivela uno che campa alla grande sullo sfascio del paese. L’Italia è un paese di bonaccioni, oltre che di bamboccioni. Per questo fatica a considerare nemico il vicino di casa che evade. E risulta avere un reddito da poveraccio, nonostante possieda un appartamento importante, un gigantesco Suv, una barca da nababbo e sia solito fare vacanze in luoghi da favola. Allo stesso modo non siamo soliti considerare un ladro l’artigiano, il commerciante, il proprietario del ristorante che ritiene normale non farci la ricevuta fiscale. Alla fine della cena, il cameriere si avvicinava a Formenton e gli bisbigliava la solita giaculatoria: «Fattura, fiscale o amichevole?». A proposito dei ristoranti, un ricordo mi conferma che la pratica dell’evasione è stravecchia. Nei primi anni Ottanta, a guidare la Mondadori c’era Mario Formenton, un gentiluomo amico dei giornalisti che lavoravano con lui. La domenica sera, Mario era abituato a invitare a cena i direttori e gli opinionisti delle testate di Segrate. Si andava in un buon ristorante milanese di fronte all’Università Statale che oggi non esiste più: “La Pantera rosa”.  Alla fine della cena, il cameriere si avvicinava a Formenton e gli bisbigliava la solita giaculatoria: «Fattura, fiscale o amichevole?». Ossia chiedeva se Mario desiderava una fattura del conto, una ricevuta fiscale, oppure desiderava pagare in nero, versando un prezzo ridotto, per l’appunto da amico. Formenton sorrideva e replicava ogni volta: «Voglio la fattura, per favore!». L’uso continua ancora oggi. Ma penso che non durerà per molto tempo ancora. Tanti segnali mi dicono che il contrasto dell’evasione fiscale, a cominciare dall’Iva non pagata, stia diventando l’obiettivo prioritario del governo italiano e non soltanto del nostro. Per restare da noi, l’Istituto centrale di statistica ha stimato che l’evasione riguarda 247 miliardi di imponibile, che corrispondono a 120 miliardi di euro di imposte non pagate. Secondo gli esperti di questi conti, se quei 120 miliardi di euro affluissero nelle casse dello Stato, l’Italia sarebbe a posto. Ossia non dovrebbe temere di fare la fine della Grecia e della Spagna. .E’ una grande cosca che ci manda tutti i rovina. E suscita nei contribuenti onesti un senso di ingiustizia sempre più profondo e rabbioso. Che prima o poi sfocerà in qualche moto di ribellione, oggi impossibile da immaginare. La nuova mafia Se è così, parlare di macelleria sociale a me sembra ancora troppo poco. Siamo di fronte a un’altra mafia, quella degli evasori. Persino più eversiva della grande criminalità organizzata. E’ una grande cosca che ci manda tutti i rovina. E suscita nei contribuenti onesti un senso di ingiustizia sempre più profondo e rabbioso. Che prima o poi sfocerà in qualche moto di ribellione, oggi impossibile da immaginare. Sino ad arrivare a una vera e propria rivolta fiscale, quella auspicata da Luttwak. Che cosa significano quelle due parole terribili, Rivolta Fiscale? Mi sembra chiaro: vogliono dire che un giorno tanti contribuenti onesti decideranno di non pagare più le tasse. Certo, è rischioso farlo. Se si ribellano in dieci o in cento, lo Stato li stanga con durezza. Ma se lo fanno in centomila, che cosa può succedere? Assolutamente nulla. Tranne che l’Italia dovrà dichiarare bancarotta. Con una serie di conseguenze terribili, che danno i brividi. E’ chiaro che non sto auspicando un terremoto di quella forza. Mi limito a ricordare un vecchio detto inglese. Che recita nel modo seguente. Se sotto il cartello “Vietato fumare” fumano in due, i fumatori di sfroso vengono puniti. Ma se sotto quel cartello a fumare sono in venti, il cartello viene tolto. La macelleria sociale prevede l’esistenza di un mattatoio. E di macellai che lavorino con seghe e coltellacci. E’ un luogo diabolico che autorizza qualsiasi ribellione. Per evitarla ci sono soltanto due strade. Una può essere percorsa con ragionevole rapidità. L’altra prevede tempi più lunghi, come succede per le riforme di struttura, altra formula di continuo invocata. Una specie di mantra che ci riempie le orecchie inutilmente. La prima via è quella di intensificare la guerra contro l’evasione. Con tutti i mezzi possibili. A cominciare da una intelligence nazionale sempre più raffinata, in grado di scovare i criminali che non pagano le tasse o la fanno al di sotto del dovuto. La prima via è quella di intensificare la guerra contro l’evasione. Con tutti i mezzi possibili. A cominciare da una intelligence nazionale sempre più raffinata, in grado di scovare i criminali che non pagano le tasse o la fanno al di sotto del dovuto. Il federalismo fiscale dovrebbe servire anche a questo. Allo stesso modo, sarebbe utile ripristinare la pubblicità dei redditi comune per comune. Un tempo esistevano gli elenchi dell’imposta di famiglia. Di solito venivano esposti per due o tre giorni nell’albo municipale e poi sparivano. A renderli noti ci pensavano i giornali, sia pure non tutti. Quando arrivai al “Giorno” di Italo Pietra, era il 1964, il direttore mi spedì in tutti i principali comuni della Lombardia a procurarmi le liste dell’imposta di famiglia. Che poi pubblicavamo nella pagine lombarde. Cambiare sistema La seconda strada è cambiare il sistema fiscale. E crearne uno nuovo sulla base del conflitto d’interesse. Stiamo parlando di chi acquista un bene o un servizio e pretende da chi glie lo vende la ricevuta fiscale. L’acquirente ha interesse a chiederla. Perché lo Stato gli consente di scaricare una parte della spesa dalla propria dichiarazione Irpef. Ma ho l’impressione che arrivare a questo, oppure a un altro sistema fiscale analogo, comporterà tempi biblici. Nel frattempo, il commercialista mi ha comunicato il mio acconto fiscale da pagare entro la metà di giugno. Come sempre, risulterò ai primissimi posti nella lista dei contribuenti della mia provincia. Mi guardo intorno e so per certo che molti altri dovrebbero precedermi.