Intercettazioni, Alfano: "No allo stato di polizia"
"Non si può intercettare tutto e sempre. Se si dice che più si intercetta più reati si scoprono, allora intercettiamo tutti gli italiani 24 ore su 24. Così scopriremo certamente tanti reati, ma avremo uno Stato di Polizia". Così il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è intervenuto ieri sul tanto discusso tema delle intercettazioni in vista delle votazioni di questa notte. A margine del convegno organizzato per il 18/esimo anniversario della strage di Capaci, il Guardasigilli ha spiegato che "la legge in discussione sulle intercettazioni lascia tutto inalterato per quel che riguarda i reati di mafia e terrorismo, anzi risparmiando sulle intercettazioni inutili ci saranno più fondi per quelle necessarie. Nei prossimi giorni lavoreremo per rendere il testo più equilibrato, garantendo i tre principi fondamentali: diritto alla riservatezza, diritto di cronaca e diritto di indagine". La legge sulle intercettazioni, dunque, non avrà dunque alcuna ripercussione negativa sulle inchieste antimafia. Brunetta - Usa - Sul "caso" interviene anche il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, che dai microfoni dell'emittente radiofonica Rtl, ha risposto al sottosegretario americano alla giustizia Lanny Breuer, secondo cui le intercettazioni sono essenziali per le indagini: "Benissimo, applichiamo le stesse regole americane o le stesse regole inglesi e il problema sarebbe risolto. Mi piacerebbe che in Italia ci fosse lo stesso rigore nell'uso delle intercettazioni che c'è negli Stati Uniti. Ma non c'è. Negli Usa le intercettazioni si fanno per colpire la criminalità ma chi sgarra paga e paga carissimo. E negli Stati Uniti non c'è lo stesso malcostume che c'è in Italia di avere le intercettazioni o gli interrogatori della magistratura sui giornali il giorno dopo". L'iter in commissione -Rush finale al Senato per il ddl sulle intercettazioni. La Commissione Giustizia di palazzo Madama si riunirà questa sera alle 21,15 per licenziare il testo in nottata e sarà una riunione dei capigruppo già domani a decidere poi l’approdo in aula del provvedimento. Il dibattito tra direttori Oggi pomeriggio al circolo della Stampa di Milano i direttori dei principali quotidiani italiani si sono riuniti per discutere di quella che ormai è stata ribattezzata come Legge Bavaglio. Il primo a intervenire è stato Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, per il quale "la legge allo studio significa la morte cronaca giudiziaria. Inoltre colpisce al cuore le investigazioni giudiziarie e il sistema democratico". Per De Bortoli, inoltre, il problema è il punto di partenza della norma: "se questa legge volesse intervenire davvero sull'abuso della pubblicazione delle intercettazioni, e non mettere a tacere giornalisti giudiziari e magistrati, saremmo pronti a discutere", ha detto il direttore di via Solferino. Dopo De Bortoli è intervenuto Mario Sechi, direttore del Tempo, che ha puntato il dito sull'imperizia dei tecnici che hanno messo a punto la norma, ma soprattutto sui rischi per tutto il sistema editoriale italiano. "Con questa norma si rischia di scassare definitivamente i bilanci dei giornali". Infatti le multe previste in caso di pubblicazione di atti impubblicabili sommati alle richieste di denaro per querele potrebbero mettere ko le società editoriali italiane. "Un'industria che rischia di saltare per aria", ha ribadito il direttore del Tempo. E' poi intervenuto Peter Gomez, per il Fatto. La parola chiave, per Gomez, è disobbedienza civile. "Come ci ha insegnato Luigi Einaudi, bisogna conoscere per deliberare e questa norma ci impedisce di conoscere e di conseguenza di scegliere". Vittorio Feltri de Il Giornale, si augura "che la Corte Costituzionale bocci questa legge perché impedisce ai cittadini di sapere cosa succede in questo Paese. Senza contare che tutto quello che non potranno pubblicare i giornali, finirà certamente su qualche sito Internet e quindi la norma sarà comunque aggirata. Per il direttore del giornale di proprietà di Silvio Berlusconi, per una volta, "è necessario che non ci siano divisioni tra destra e sinistra e che la battaglia sia comune". "Se questa legge passasse - conclude Feltri - rischieremmo la vita, non fisica ma lavorativa. I giornali finirebbero per soccombere e noi non potremmo più fare il nostro mestiere".