"Cricca, è una faida nel Pdl"

Eleonora Crisafulli

Dotor Giancarlo Capaldo, da procuratore aggiunto di Roma coordina una delle inchieste sulla cricca, siamo di fronte a una nuova Mani Pulite? «Oggi in Italia, la corruzione è un qualche cosa di dilagante, non è più sotto controllo né l’emersione dei casi di corruzione è controllabile, affiora in modo diffuso e dilagante, rompe gli argini in modo casuale. Nel 1992 era concentrata su Milano oggi è diffusa su più territori». Quali sono quindi le similitudini e le differenze con Tangentopoli? «Tangentopoli esplose perché l’eccessiva voracità mise in crisi il sistema. Oggi siamo di fronte a un fenomeno molto preoccupante, abbastanza simile a quello del 1992. Allora, con la maxitangente Enimont si superò il limite di guardia compatibile con lo stesso sistema politico-economico e andò a casa la Prima Repubblica. La mia sensazione è che in questi ultimi anni il livello di guardia sia andato via via crescendo, indipendentemente da chi governava. Vi è stata una continuità dal 1994 con la fine della vecchia classe politica. L’opera di contrasto di Mani pulite non si è completata, quelle indagini non hanno dato come esito la ricostituzione della legalità ma il cambio della classe politica. E oggi siamo in una zona da allarme rosso». Come mai? «I motivi sono diversi. Non abbiamo colto quanto emerso con le inchieste degli anni ’92-‘94. I reati contro la pubblica amministrazione non sono affrontati normativamente e dalla magistratura in modo sistematico, non c’è quel background che invece abbiamo per combattere il terrorismo e la mafia.  C’è quindi tra gli investigatori minore professionalità e attenzione, non esiste particolare preparazione nella lotta alla criminalità economico-amministrativa perché non è mai stata una priorità nel nostro Paese. Non si è mai drammatizzato il fenomeno colpendo dal 1994 solo qualche episodio. E questo permette le strumentalizzazioni più ampie e inquietanti dell’azione giudiziaria». Strumentalizzazioni dei pubblici ministeri? Cosa intende? «C’è gente che strumentalizza il potenziale automatismo giudiziario, l’obbligatorietà dell’azione penale per fini propri, per colpire avversari politici ed economici. Quando a un pubblico ministero sono posti davanti agli occhi dei fatti di rilevanza penale li devi per forza perseguire». Vuol dire che le procure sono etero dirette nelle loro azioni? «Nel mondo e non solo in Italia lo strumento giudiziario è uno strumento di controllo sociale per il potere esecutivo e guardi non sto parlando di questo governo attuale... Non esiste contrapposizione tra mondo giudiziario e mondo politico. Anche oggi non viviamo questa contrapposizione, ma è il contrasto all’interno del mondo politico che fa emergere queste indagini. Se non ci fosse questo contrasto le cose non verrebbero fuori». Sta dicendo che le indagini sulla cricca sono alimentate da notizie che arrivano dall’opposizione? «No. Il dato più preoccupante è che oggi ci sono profondi contrasti tra maggioranza e maggioranza, contrasti molto forti che portano alla luce situazioni da accertare penalmente e che se fossero vere sarebbero molto preoccupanti». Potrebbe essere più preciso? «Guardi l’emersione processuale, in sede investigativa di fatti di rilevanza penale è un avvenimento sempre eccezionale perché l’inchiesta ha sempre dei costi per tutti e quindi non è la prima strada che un gruppo di potere utilizza. La sceglie a ragion veduta. E oggi il nostro Paese è in una situazione drammatica. Bisognerà vedere anche la responsabilità di voi giornalisti...». Adesso è colpa nostra? «Tutto contribuisce e alimenta quello che chiamate “il clima”. È uscito l’elenco di lavori compiuti da Anemone, non c’è distinzione tra corrotto e colui che ha chiesto dei lavori e li ha regolarmente pagati. La notizia è che ci sono personaggi assai importanti indicati nella lista, non interessa se a ragione o torto. Sono scelte giornalistiche già compiute nel passato in particolari momenti storici». E lei come giudica il clima? «La magistratura è un potere satellite che deve ottenere il consenso per poter agire. Il consenso è sia quello di chi ti sottopone fatti di rilevanza penale sia quello popolare. Senza questi non vai da nessuna parte, non puoi effettuare il controllo della legalità. Se i cittadini non vogliono, la magistratura rischia di essere un don Chishotte contro i mulini a vento. È accaduto la stessa cosa con il terrorismo. Prima la magistratura ottenne il consenso per indagare sul terrorismo di sinistra poi su quello di destra, così per la mafia». La crisi economica come incide? «Aiuta la magistratura a incontrare il consenso della gente e a raccogliere informazioni. In tempi di crisi economica c’è di nuovo il consenso sociale. Lo spreco di denaro, il privilegio offende chi stringe la cinghia, lo tocca sul piano personale e non solo etico». Stavolta è Roma e non Milano a condurre l’indagine, in parallelo con Perugia e Firenze. Piazzale Clodio non è il porto delle nebbie? «La procura di Roma non è più il porto delle nebbie, dal momento in cui il legame tra vertice della procura e mondo politico si è dissolto». E questo quando è accaduto? «Dopo la bufera dei primi anni ’90. Prima era un momento culturale diverso: il capo ufficio aveva un referente politico. Dopo, la procura di Roma ha perso quel connotato e non essendo più vicina ad alcun politico, non è più il porto delle nebbie». Eppure il procuratore aggiunto Achille Toro è coinvolto proprio nell’inchiesta sulla cricca… «Le responsabilità sono da accertare, comunque Toro non ha determinato alcun indirizzo particolare delle inchieste: non ha condizionato l’agire dell’ ufficio». Negli anni di Mani pulite fioccavano gli arresti, oggi è cambiata la strategia delle indagini? «Le misure cautelari sono fatti eccezionali, la magistratura poi per autodifesa evita di compierli soprattutto nel campo dei colletti bianchi che hanno le leve del potere in mano. Anche perché un conto è rubare, e vi è stata sempre una scarsissima considerazione sociale di questo reato, un conto è uccidere». Come giudica il pacchetto anti-corruzione proposto dal governo? «È una risposta blanda. Il problema è la disfunzione del processo penale con norme inadeguate. Negli Usa in un mese concludono un processo per omicidio senza aver necessità di arrestare l’imputato. Da noi il fatto che il processo con detenuti cammini spedito diventa incentivo per spiccare quelli che si chiamavano mandati di cattura. Le norme invitano all’arresto perché solo lì funziona il processo». Consapevoli degli errori della Prima Repubblica, la classe politica di oggi come dovrebbe reagire? «La politica dovrebbe porsi il problema, chiedersi se sta avvenendo qualcosa di analogo con quanto segnò gli anni ’90, perché tutto ciò può compromettere l’assetto politico del Paese. Cogliere anche quanto sia importante  il controllo della legalità per il governo del Paese. Io politico detto la norma ed è importante che venga osservata, perché il controllo della legalità consente il buon governo e azzera la dispersione delle risorse, che così non vanno ad alimentare ceti parassitari». Gianluigi Nuzzi