Thailandia, l'esercito spara sulla folla: ucciso un manifestante

Eleonora Crisafulli

La situazione già difficile in Thailandia sta degenerando. Il duro braccio di ferro tra il governo e le "camicie rosse" fedeli all’ex premier Thaksin Shinawatra, che da due mesi chiedono nuove elezioni, è finito nel sangue. La vittima è l'ex maggiore dell'esercito Khattiya Sawasdipol (nella foto di Thomas Fuller), uno dei leader "rossi" più radicali, ferito alla testa da un colpo di arma da fuoco nell'accampamento dei manifestanti antigovernativi a Bangkok. Da settimane migliaia di dimostranti restano rinchiusi, circondati da barricate, senza acqua potabile né corrente elettrica, pronti a nuovi scontri. "Seh Daeng" - questo il soprannome del "comandante rosso" - è stato portato d'urgenza in ospedale dopo una raffica di proiettili udita nei pressi della Sala Daeng Intersection, dove le camicie rosse hanno eretto la loro barricata più estesa. Dopo il fallimento delle trattative, Abhisit Vejjajiva, che governa da oltre un anno con il sostegno dell’esercito, ha disposto l'assedio al quartier generale delle "camicie rosse" nel centro della città, chiudendo tutte le vie di accesso all’area occupata dal 14 marzo: "Ho chiesto alle forze di sicurezza di riportare la normalità il prima possibile". Negli scontri di oggi è rimasto ucciso un uomo e il bilancio delle vittime degli ultimi due mesi di violenze è di 29 persone oltre a un migliaio di feriti. Intanto il governo thailandese si accinge ad estendere lo stato di emergenza in altre 15 province, per  cercare di controllare il movimento antigovernativo. Che la situazione sia davvero grave lo dimostra anche il fatto che gli Stati Uniti hanno deciso di chiudere l'ambasciata.