Il divario tra Nord e Sud ci sarà sempre. E forse va bene a tutti così

Monica Rizzello

Il dibattito sul 150esimo anniversario dell’unità d’Italia è diventato il solito sul divario tra Nord e Sud, ergo sulla Lega, il federalismo, l’Udc che si agita, i finiani pure, senza contare l’Mpa di Raffaele Lombardo e via così. Ce ne faremo una ragione. Ma allora, nella babele di opinioni, tanto vale aggiungere anche la seguente: il divario tra Nord e Sud non verrà superato mai, anzi dall’unità d’Italia è peggiorato e basta, va chiarito questo equivoco che seguita a far capolino dai giornali e da un dibattito che pare fermo a trent’anni fa. Il divario tra Nord e Sud è fisiologico e storicamente inevitabile in quanto corrisponde alle indubbie differenze che semplicemente ci sono tra Nord e Sud, e che sono storiche, ambientali, climatiche, etniche, quel che volete, ma che corrispondono anche alle diverse tempistiche e modalità di sviluppo che spesso ci sono tra il Nord e il Sud del mondo. Non è per prenderla troppo alla larga, ma da un polo all’altro del pianeta non c’è parallelo geografico che non corrisponda a suo modo a un divario, a un diverso contesto socio-economico dove infinite combinazioni giustificano il ritardo o l’anticipo con cui un’area giunga all’appuntamento col progresso: perlomeno con una vaga idea di progresso che in Occidente sembra ampiamente condivisa. Restando al nostro, di Paese, conta una sola cosa: che la velocità di sviluppo, pur rimanendo il divario, non sia troppo differenziata e che insomma non aumenti il distacco tra le due realtà. Ecco: come stanno davvero le cose, da questo punto di vista? Numeri e ricerche Ci soccorrono i numeri e qualche ricerca seria. Secondo un’elaborazione su dati Istat, Banca d’Italia e degli economisti Malanima-Daniele, riassunta da Luca Ricolfi nel suoi libro «Illusioni italiche», vediamo che il Sud, al momento dell’unificazione, non era neppure più arretrato del Nord. Sorpresa. Il famoso divario risulta essere un portato della storia unitaria che vede corrispondere il periodo più nero del meridione nel lasso di tempo tra il 1880 e il 1951.  La traiettoria del grafico non lascia scampo: su 150 di storia, quasi 120 sarebbero di arretramento. E ci sarebbe dunque poco da festeggiare, ma occorre anche mettersi d’accordo su che cosa s’intenda per divario. Che vi sia uno scarto elevato in termini di prodotto pro-capite e produttività (il prodotto per unità di lavoro) nessuno lo discute, al pari dei servizi pubblici peggiori e di redditi mediamente più bassi del 26 per cento.  I vantaggi di chi vive al Sud però non sono da poco, e infatti fanno parte della polemica quotidiana: i prezzi sono nettamente più bassi (dal 15 al 30 per cento) mentre più alta è l’evasione fiscale e il noto sparpagliamento di sussidi e aiuti pubblici. A costare di meno peraltro sono beni essenziali: le case, gli affitti, il cibo, i servizi. Il paniere Istat parla di un buon 30 per cento di meno. Calcolando tutti i dati disponibili, positivi e negativi, Luca Ricolfi giunge a sostenere che al Sud le famiglie medie hanno consumi addirittura più alti (5 per cento) rispetto a quelle del Nord. Insomma,  in meridione si vive bene nonostante il divario. A dirla tutta - ma questo lo diciamo noi, non Luca Ricolfi - se volessimo considerare sussidi ed evasione come conseguenze del divario, in meridione si vive meglio grazie al divario. Chi dice che l’unificazione abbia aumentato il divario, forse, dice la verità. Ma nondimeno la dice chi sostenga che, a questo divario, il Sud si sia adattato sin troppo bene. Malati di politica Ma questi temi, messi così, e malati di politica come siamo, parrebbero roba leghista assai più che verità statistiche. E poi c’è da ricordare che il Sud resta mediamente più povero anche perché la ricchezza è distribuita in maniera più diseguale e iniqua. I servizi pubblici, poi, fanno abbastanza schifo. Resta che il divario c’è, per quanto relativo. Una persona che tornasse al Sud dopo trent’anni troverebbe gli stessi incredibili cambiamenti che troverebbe al Nord, o meglio: non gli stessi cambiamenti, ma l’ampiezza della loro portata. In Italia tuttavia persiste un certo buonsensismo secondo il quale tendiamo a cimentarci nello straordinario pur difettando nell’ordinario, a fantasticare cioè su grandi opere dimenticando le fragilità e i ritardi di quelle piccole: come le ferrovie, le strade trascurate, le località escluse dalle direttrici dei trasporti, eccetera. Ma non esisterà mai un paese in cui le infrastrutture non si sviluppino con timing diversi: il punto, per dire, non è che nelle principali metropoli italiane stanno mettendo la fibra ottica mentre in certe isolette del Sud hanno appena messo l’elettricità; il punto è che stanno progredendo sia le metropoli che le isolette del Sud. Ma non ci si può fermare ad aspettare tutte le isolette d’Italia: da qualche parte si troverebbe sempre una strada dissestata, un acquedotto insufficiente, qualcosa che impedisca ad altri di fungere da locomotiva. Eliminare ogni divario tra Nord e Sud nel caso diventerebbe facilissimo: basterebbe, anziché premere sulla corsa del Sud, fermare o far arretrare il Nord. Come a dire: fermare la locomotiva per aspettare i vagoni.