La corrente è "una metastasi", la citazione tombale di Silvio

Albina Perri

di Filippo Facci-  C’è un mistero da risolvere: nessuno ha capito con precisione che cosa sia una corrente nell’accezione finiana. C’è chi parla di minoranza organizzata, opposizione interna, scissione, area, frazione, fronda, semplici rompicoglioni: corrente è quasi un’espressione di comodo. Anche l’espressione «metastasi» adottata ieri da Berlusconi in un certo senso non fa testo: perché è la stessa precisa espressione adottata da Fini non troppo tempo fa. Non a caso, tra i finiani, c’è chi nega che debba chiamarsi così, altri per contro hanno firmato entrambe le mozioni, stando sia di qua che di là.  Le uniche cose certe appaiono due: che questa corrente finiana permette di sapere quanti sono appunto «gli amici di Fini» (quanto rimane, cioè, di quel 30 per cento iniziale di ex An confluiti nel PdL) e in secondo luogo che probabilmente questa corrente garantirà un formalismo più puntuale nelle convocazioni delle varie riunioni politiche o di Partito, invero piuttosto rare o sin troppo informali: praticamente dei pranzi o delle cene allargate. Fine. Per il resto, largo ai dubbi primordiali. Per esempio: c’è qualcosa che sancisce l’esistenza di una corrente, in questo caso, rispetto alla sua non-esistenza? No: a meno di ritenere che nasca una corrente ogni volta che un gruppo di deputati firma un documento all’unisono, andando come detto alla conta. Ma per il resto: c’è qualcosa che gli aderenti a questa corrente non potevano fare già prima, anzi, qualcosa che già non facevano prima? No: i finiani già si conoscevano e nelle cronache e in televisione venivano definiti come tali. E come tali hanno dissentito, fatto pressioni, annacquato l’unanimismo berlusconiano, rallentato o rimandato percorsi legislativi. Ma non è che ora i finiani vestiranno un’uniforme particolare, o potranno eccepire sulla linea del Partito (del Governo) più di quanto non abbiano già fatto in precedenza: a meno che ecco, sia una questione di modiche quantità. «È inaccettabile contestare la leadership tutti i giorni» ha detto per esempio Fabrizio Cicchitto. A giorni alterni invece è accettabile? Una corrente, dunque, permette un surplus di contestazioni rispetto alla norma? Sempre che ci sia una norma: tutto può essere, del resto è proprio questo che la corrente «berlusconiana» (perché fatta una corrente, se ne creano giocoforza due) obiettava in questi giorni: si dissenta pure, ci mancherebbe, purché nelle forme e nei modi che il partito prevede. Ma lo prevede? Forse, a parere di chi scrive, forse, il punto in discussione è questo. Lo prevede, sì, ma in forma quasi estetizzante, ottimisticamente «democratica» sinché il gioco non si fa troppo duro, un contorno rispetto alla bistecca cucinata dal cuoco e da un paio di sotto-cuochi, al limite. Pregio per alcuni, difetto per altri. O meglio: pregio sinché conviene, difetto di conseguenza. Par di capire che i finiani debbano essersi sentiti come quegli amici un po’ problematici che in certi momenti si preferisce non invitare in cucina. Tutto il resto viene dopo: anche il fatto, quindi, che il PdL sia nato come una lista elettorale, che l’adesione al Partito popolare europeo sappia molto più di forma che di contenuti,  che l’ìdentità del Partito sia tutta da costruire. Sempre che la si voglia costruire: perché se è vero che in un partito tradizionale è fondamentale poter esprimere con forza le proprie opinioni (ciò dicono i finiani) e se è vero che in un partito tradizionale è fondamentale però anche l’unità e la disciplina (ciò dicono i berlusconiani) il dettaglio è che il PdL non è un partito tradizionale, né Berlusconi lo vuole come tale. Non è spregiativo e neppure elogiativo riprendere una vecchia battuta di Corrado Guzzanti: il PdL non è né di destra né di sinistra, il PdL è di Berlusconi. Detto questo, ogni altro paragone colle vecchie correnti non ha senso. Durante la Prima repubblica, nella Dc e nel Psi, c’erano correnti che avevano sedi, organigrammi, carta intestata, giornalini o agenzie di stampa, pullman congressuali, hotel separati, soprattutto dei padri nobili di riferimento che mascheravano bramosie da manuale Cencelli. C’erano tessere e c’erano soldi distribuiti di conseguenza. Nella corrente di Fini, da quanto inteso, manca persino un vero collante che giustifichi l’appartenenza a una precisa area culturale: vedasi articolo di Franco Bechis su Libero di oggi. Una generica chiave anti-Lega pare insufficiente o in parte da verificare. E allora? E allora niente: anche in questo caso, tra finiani e berlusconiani, verrebbe tanto da auspicare la famigerata via di mezzo cara al nostro Paese, terra di mediazione e compromesso, di pianti greci, baruffe chiozzotte, addii verdiani, laddove tutto si può aggiustare e nulla era irrecuperabile. Ma quella era la Prima repubblica, oggi si porta il bipolarismo.