Silvio s'è rotto
di FAUSTO CARIOTI- Se qualcuno pensava che il giorno dopo sarebbe stato quello della riflessione, dei primi ripensamenti, be’, ieri si è dovuto ricredere. Da Silvio Berlusconi non è arrivato alcun cenno di distensione nei confronti di Gianfranco Fini. Al contrario: con la calma gelida di chi aveva tutto in mente già da tempo, e aspettava solo l’occasione buona per mettere in pratica l’operazione di pulizia, il presidente del Consiglio si è preoccupato di bruciare i ponti che potrebbero (ri)portare Fini dentro al PdL, preoccupandosi anche di lasciare il cerino acceso in mano al rivale. Lo scopo dell’ex leader di An, infatti, non è quello di rompere: restare nel PdL, con un forte potere di condizionamento nei confronti di Berlusconi e del suo governo, per lui sarebbe il risultato migliore. Progetto valido a maggior ragione per i suoi uomini, sempre più spaventati dall’ipotesi di elezioni anticipate, che rischiano di tradursi nella perdita definitiva del seggio da parlamentare o dell’incarico di governo. Al punto che sono suonate sospette le parole con cui, in mattinata, Fini aveva apprezzato la convocazione, prevista per giovedì prossimo, della direzione nazionale del PdL: «È una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto al presidente Berlusconi», era stato il suo commento. In realtà si tratta di una riunione già decisa da tempo, che il presidente della Camera non può appuntarsi al petto come una medaglia. Comunque i suoi hanno subito iniziato a far girare la voce che Fini, nel suo intervento alla direzione nazionale del partito, avrebbe battezzato quel vertice come l’inizio della sospirata «discontinuità», la partenza di una nuova fase. Il cui merito - manco a dirlo - sarebbe stato tutto suo. In questo caso i gruppi parlamentari autonomi - ai quali il numero uno di Montecitorio sta lavorando in prima persona, ma dei quali ufficialmente non ha mai parlato - non sarebbero nati: Fini si sarebbe “accontentato” di dar vita a una vera e propria componente di minoranza all’interno del PdL. Un modo per uscire dal cul de sac nel quale si è andato a infilare. Ma Berlusconi non vuole che vada a finire così. Berlusconi vuole che lo scontro in atto abbia un esito definitivo. Che, nelle intenzioni del premier, può essere di soli due tipi: l’uscita di Fini dal PdL o - in subordine - la sua permanenza nel partito, ma solo dopo essere stato azzerato politicamente, ovvero dopo aver mostrato che non è in grado di organizzare la scissione dei gruppi parlamentari, per la quale è necessario mettere assieme almeno dieci senatori alla camera alta e venti deputati in quella bassa. Così ieri il Cavaliere si è dedicato con cura alla preparazione del tappeto rosso che dovrà guidare l’ormai ex alleato verso l’uscita. Senza anatemi né drammatizzazioni: è finita una fase, ha detto Berlusconi ai suoi, Fini «vuole a tutti i costi fare gruppi parlamentari autonomi. Ho tentato di dissuaderlo, ma lui non sente ragione. A questo punto, si assuma le giuste responsabilità». Insomma, secondo Berlusconi ormai tutto è stato già deciso dal presidente della Camera, al quale non resta che rimangiarsi le minacce o essere coerente con se stesso e farsi i propri gruppi parlamentari. Il che, ha sentenziato il premier, equivale a «una scissione». L’ufficio di presidenza convocato da Berlusconi, durante il quale il premier ha mostrato di avere un saldissimo controllo del partito, mettendo all’angolo i finiani Italo Bocchino e Adolfo Urso, non ha fatto altro che trasferire la posizione del leader all’intero vertice del PdL: Fini è stato ufficialmente invitato a desistere dal suo progetto di creare gruppi autonomi. «Gli abbiamo chiesto una resa senza condizioni», sintetizza brutale uno di quelli che hanno partecipato all’incontro. Fini può accettare questa richiesta solo a patto di perdere la faccia. Il contentino che gli è stato concesso è rappresentato dal possibile congresso nazionale del partito, che secondo Berlusconi dovrebbe tenersi tra un anno e mezzo: se l’ex leader di An, che tiene tanto alla democrazia interna, vorrà confrontare le proprie forze con quelle del Cavaliere, è in quella occasione che potrà farlo. La mazzata finale agli uomini di Fini l’ha data Umberto Bossi. Molti pensavano, infatti, che l’interesse del Carroccio per il federalismo fiscale, del quale devono ancora essere varati i decreti attuativi, avrebbe indotto la Lega a fare di tutto pur di evitare una fine traumatica della legislatura. Ma ieri Bossi, d’intesa col Cavaliere, ha spazzato via queste speranze. «Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni», ha assicurato il leader della Lega. Per i finiani è l’ultimo avvertimento: chi lascia il PdL, sappia che molto presto rischia di trovarsi fuori dal Parlamento.