E Bossi disse: prendiamo le banche
di Giuliano Zulin «È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice “prendetevi le banche” e noi lo faremo». Parola di Umberto Bossi. Era dai tempi di Piero Fassino, al telefono con Giovanni Consorte, che non si sentiva un politico spingere per entrare nel salotto buono della finanza. Ci sono però alcune differenze tra Fassino e il Senatur. L’allora leader Ds faceva il tifo per l’Opa di Unipol su Bnl, poi andata male. Ricordate? «Abbiamo una banca?», chiedeva interessato all’ex presidente della compagnia delle Coop. Il segretario leghista invece non si riferisce a una singola banca: nel mirino dei padani ci sono due, tre, quattro, decine di banche. A partire da Intesa e Unicredit, i santuari dell’economia italiana. E poi il ministro delle Riforme non parla al telefono: fa un annuncio urbi et orbi. Perché chi deve sentire, recepisca il messaggio. A casa Intesa Sanpaolo hanno presentato le liste per i 13 posti del nuovo consiglio d’amministrazione. Bene, nessuno dei grandi soci dell’istituto guidato da Giovanni Bazoli ha però interpellato Bossi per presentare i candidati. Eppure i principali azionisti di Intesa sono le fondazioni, espressione del territorio. Quel territorio che, alle recenti regionali, ha premiato il Carroccio in Veneto e Piemonte, proprio dove hanno sede due grandi fondazioni (Cariparo a Padova e Sanpaolo a Torino). Da Intesa a Unicredit. Per mesi è andato in onda il braccio di ferro fra le Fondazioni, capitanate da Cariverona, e l’ad Alessandro Profumo per creare la figura del country manager, cioè un dirigente che tuteli gli interessi degli enti territoriali, visto che il banchiere ha fretta di cancellare le insegne dei singoli istituti per varare il “bancone”. Tutti d’accordo sul nome di Gabriele Piccini, nominato proprio l’altro ieri, tranne uno: il rappresentante di quella Cariverona, che ha poco meno del 5% di Unicredit ed è sempre più orbitante in quota Flavio Tosi. Paolo Biasi, storico numero uno della Fondazione scaligera, già da tempo si è avvicinato al primo cittadino leghista di Verona. Non fosse altro perché fra qualche mese scade il consiglio della stessa Fondazione: fra gli oltre trenta consiglieri, ben ventidue dovranno provenire per statuto dagli enti territoriali. Quattro sono di nomina dello stesso primo cittadino di Verona. Un’altra “carega” sarà decisa dal sindaco di Legnago, Roberto Rettondini, leghista pure lui. Deciderà un nome anche Attilio Schneck, presidente della Provincia di Vicenza in quota Carroccio. Gianvittore Vaccari, senatore e sindaco di Feltre (Belluno), nominerà un altro consigliere ancora. Con Zaia a Venezia sicuramente le scelte delle Camere di Commercio di Verona e Vicenza saranno influenzate dal vento leghista. Il cambio in Regione potrebbe inoltre pesare nella doppia scelta che spetta al Rettore dell’Università di Verona. In pratica quasi metà degli uomini che occupano la stanza dei bottoni di Cariverona potrebbe essere leghisti o amica di leghisti. Dal Veneto al Piemonte, dove la Cassa di Risparmio di Torino governata da Fabrizio Palenzona - meglio conosciuta come fondazione Crt - ha quasi il 3,7% di Unicredit. Qua dodici su 22 consiglieri “sono espressione del territorio di riferimento”: uno deve uscire da una terna di nomi preparati dalla leghista Gianna Gancia, presidente della provincia di Cuneo, molto vicina a Roberto Calderoli. Un altro deve essere espressione del numero uno della provincia di Biella, l’onorevole padano Roberto Simonetti. E poi spetterà direttamente alla Regione - quindi a Cota - un altro consigliere. Gli “eletti” poi continuano con le nomine ad opera della Camera di Commercio di Torino e dell’unione piemontese delle Camere di Commercio. Anche qui vale lo stesso discorso del Veneto: quando cambia il presidente della Regione, i poteri locali si adeguano al mutamento d’aria. Tirando le somme, Bossi potrebbe dire la sua su quasi l’8% di Unicredit. Tirando all’estremo le conseguenze il Senatur sarebbe primo azionista di piazza Cordusio. Ma se il Carroccio potrà parcheggiare davanti all’Unicredit, sarà più difficile entrare nelle stanze di Intesa Sanpaolo. I padani devono sperare in qualche favore da parte degli alleati del PdL per conquistare delle poltrone nella Cariparo, ovvero la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, azionista con il 4,18% della banca di Giovanni Bazoli: tre sono di nomina della Camera di Commercio di Padova e due del presidente della provincia di Padova. Sarà difficile, ma qualche posto potrebbe andare a un leghista. Qualche speranza in più per i bossiani nella Compagnia Sanpaolo, potentissimo azionista di Intesa con il 7,684%: là c’è un consigliere di nomina della Regione Piemonte, due della Camera di Commercio di Torino, uno della Camera di Commercio di Milano e uno dell’unione piemontese delle Camere di Commercio. L’uscita di Bossi, che ha già dalla sua parte le Popolari, non lascia dubbi: se Maometto non va alla montagna (cioè i banchieri rispettano il territorio), sarà la montagna padana ad andare alla mecca della finanza. Zaia ieri ha sottolineato che «le banche devono mettersi al servizio dei territori per indicare una classe dirigente finalmente non autoreferenziale». Ma figlia del territorio. La repubblica del Nord non si fa senza soldi.