Pechino arraffa tutto l'oro del mondo
Una volta, nelle banche centrali, doveva esserci tanto oro quanta cartamoneta circolava in quel momento. Una consuetudine sana e prudente, abbandonato dopo gli accordi di Bretton Woods. Da lì le banche hanno preso a stampare moneta senza preoccuparsi più di avere messo via anche l'equivalente concreto (in oro) della ricchezza virtuale della carta. E secondo alcuni è proprio questo cambiamento ad aver innescato le speculazioni finanziarie che sono all'origine delle recenti crisi finanziarie. Controcorrente, va solo la Cina. Il governo di Pechino, unico Paese al mondo dove l'economia è capitalista e la forma politica è socialista, insiste nell'accumulare riserve auree. Il Dragone è il primo al mondo per quantità d'oro accumulata. A fine marzo le su riserve risultavano aumentate di un ulteriore 25 per cento rispetto ai livelli di marzo un anno prima. L'equivalente in dollari delle riserve auree accumulate da Pechino è di 2.450 miliardi di dollari. Secondo gli esperti questa voce riflette la solidissima posizione di forza della Cina negli scambi con l'estero, ma anche il continuo cruciale contributo del gigante asiatico nel finanziare il debito pubblico degli Stati Uniti. Nel 2009 la Cina ha ufficialmente compiuto lo storico sorpasso sulla Germania, diventando primo esportatore mondiale con merci vendute all'estero per 196 miliardi di dollari. Ma la dinamica che negli anni scorsi ha contrassegnato la crescita delle riserve in valuta estera è ancora più impressionante: ci sono voluti quasi dieci anni per accumulare il primo trilione, come chiamano gli anglosassoni 1.000 miliardi, raggiunti a fine 2006. Poi l’esplosione, che ha visto questa voce superare quota 2.000 miliardi lo scorso aprile, e 2.400 a fine 2009.