"Il Papa non rimosse prete pedofilo"

Monica Rizzello

La lettera bomba pubblicata dall'agenzia Ap venerdì sera manda ancora una v0lta in subbuglio il Vaticano. Proprio il giorno in cui il Santo Padre si è detto disponibile a «nuovi incontri» con vittime dei preti pedofili, dagli Usa è arrivata contro di lui una nuova dura accusa, con documenti che proverebbero la resistenza alla rimozione di preti pedofili operata dall'allora cardinale Ratzinger, per timore che ciò avesse conseguenze sulla Chiesa. La lettera in particolare mostrerebbe come nel 1985 Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, fece resistenza alla riduzione allo stato laicale di Stephen Kiesle, sacerdote statunitense accusato di pedofilia, spiegando che ciò avrebbe avuto conseguenze sul «bene della Chiesa universale».  La difesa - L’avvocato della Santa Sede difende Papa Ratzinger nel caso Oakland. L'avvocato della Santa Sede negli Stati Uniti, Jeffrey Lena, ha detto infatti che l'allora cardinale Joseph Ratzinger disse al vescovo di Oakland di assicurare che un prete con precedenti di molestie sessuali non commettesse più abusi, mentre la Chiesa lavorava per riportarlo allo stato laicale. A proposito di una lettera del 1985 firmata da Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Lena ha spiegato che quando il futuro Papa esortava il vescovo di Oakland a usare nei confronti di padre Stephen Kiesle «il massimo della cura paterna» faceva riferimento a una vecchia formula della Chiesa, il cui senso era ritenere il vescovo responsabile di assicurare che il prete in questione non commettesse più abusi. Lena ha spiegato che non ci sono casi conosciuti di molestie da parte di Kiesle tra 1981, quando la diocesi ne raccomandò per la prima volta il ritorno allo stato laicale e il 1987 quando il sacerdote fu “spretato”. Il legale, riferirendosi al caso di Stephen Kiesle Kiesle – che all'epoca, aveva 38 anni – di Oakland, spiega che «durante tutto il processo, il prete rimase sotto il controllo, l'autorità e l'assistenza del vescovo locale responsabile del fatto che non facesse di nuovo del male, come il codice canonico prevede. Il caso di abuso sessuale non fu mai trasferito al Vaticano». «Alla Congregazione della Dottrina delle fede - sottolinea l'avvocato - fu posto il problema se vi erano condizioni per ridurlo allo stato laicale. A quel tempo la Congregazione per la Dottrina della fede non aveva la competenza sui casi di abusi. Le competenze erano dei vescovi locali». La riduzione allo stato laicale del prete fu condotta «in modo spedito, non secondo gli standard attuali, ma secondo gli standard di quel tempo». Inoltre, mentre il procedimento era in corso, il prete non commise altri abusi. Solo nel 2001, con il documento sui “Delicta graviora”, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha avocato a sè tutti i casi di abusi sessuali compiuti da sacerdoti sui minori. Ratzinger, interpellato sulla riduzione allo stato laicale di Kiesle, suggeriva un periodo più lungo per considerare la vicenda: la congregazione «sebbene consideri gli argomenti a favore della rimozione in questo caso di grande significato, ritiene tuttavia necessario considerare il bene della Chiesa universale insieme a quella del richiedente, e non può prendere alla leggera il danno che concedere la dispensa provocherebbe nella comunità dei fedeli cristiani, in particolare per quanto riguarda la giovane età del richiedente». La lettera - Ecco la traduzione in italiano (il testo originale è infatti in latino) del testo della lettera che il futuro Papa scrisse al vescovo di Oakland John S. Cummins, nel 1985, relativa al caso di un prete pedofilo, padre Stephen Kiesle. "Dopo aver ricevuto la sua lettera del 13 settembre di quest’anno, per quanto riguarda la rimozione da ogni obbligo sacerdotale di padre Stephen Miller Kiesele, è mio dovere condividere con lei le seguenti considerazioni. Questa corte, sebbene consideri gli argomenti a favore della rimozione in questo caso di grande significato, ritiene tuttavia necessario considerare il bene della Chiesa universale insieme a quella del richiedente, e non può prendere alla leggera il danno che concedere la dispensa provocherebbe nella comunità dei fedeli cristiani, in particolare per quanto riguarda la giovane età del richiedente. E’ necessario per questa Congregazione sottoporre casi di questo tipo ad una considerazione molto attenta, che necessita un più lungo periodo di tempo. Al contempo Sua Eccellenza non deve mancare di fornire al richiedente la maggiore cura paterna possibile e inoltre spiegare allo stesso le riflessioni di questa corte che è solita procedere tenendo il bene comune particolarmente presente. Mi permetta di cogliere questa occasione per esprimerle i sentimenti della più alta stima nei suoi confronti, la sua Eccellenza reverendissima cardinale Joseph Ratzinger".