Scintille Pdl-Lega sulle riforme
Berlusconi mantiene l’impegno sulle riforme o almeno ci prova destreggiandosi tra il silenzio dell’opposizione, le iniziative personali e le rivendicazioni della Lega. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ribadisce che il vero motore delle riforme non è certo il Pdl, ma il Carroccio da sempre impegnato e pronto a rimboccarsi le maniche nei prossimi tre anni. In agenda «ci sono le riforme istituzionale e costituzionali: il federalismo, il nuovo assetto dei poteri, il Senato federale, la Giustizia. Si è messo in moto un meccanismo e io sono assolutamente ottimista, sono certo che ce la faremo». Il dialogo con l'opposizione, ha sottolineato il ministro, è indispensabile, «se vogliamo evitare le conseguenze negative delle riforme tentate e mai approvate. Ci deve essere anche la disponibilità dell'opposizione: in particolare il Pd è un interlocutore indispensabile. I primi segnali che arrivano sono positivi in questa direzione». L'iniziativa di Calderoli - D'altra parte il Cavaliere ci tiene a chiarire che è lui il regista delle operazioni e che non ha gradito la libera iniziativa di Roberto Calderoli, al Quirinale per illustrare a Napolitano una bozza di riforme costituzionali: «Ma come gli è venuto in mente? Ma cos’è, impazzito? È compito mio spiegare al Colle come intendiamo cambiare la Costituzione. E lo farò quando sarà il momento». Insomma «il dibattito comincia oggi» e le fughe in avanti del Carroccio non vanno bene, la cena della sera prima non deve aver chiarito le idee dei Lumbard. Troppo agitati. «La bozza Calderoli non è vincolante e non impegna il PdL». Ma il dialogo tra i leghisti e Napolitano prosegue anche senza il premier. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha incontrato oggi il capo dello Stato ottenendo positivi riscontri: «Napolitano mi ha riconfermato come il federalismo sia l’unica via per uscire dall’impasse della crisi. Napolitano si è reso così totalmente disponibile in questa nuova stagione di riforme. Non c'è antagonismo tra autonomia e unità nazionale e ovviamente avere il presidente della nostra parte per noi significa vedere il sole». Al termine dell'incontro Napolitano ha esortato maggioranza e oppposizione: «Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme. Discutiamo quali sono effettivamente necessarie e realizziamole». Il modello francese - Anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, interviene nel dibattito, avvertendo che non si può ragionare del modello francese prescindendo dalla legge elettorale. Il semipresidenzialismo può essere un modello per il Paese, a patto che non si proceda con «un'adozione amputata nei suoi meccanismi di equilibrio e garanzie». Per Fini dovremmo importare in Italia «la garanzia della vitalità, della lunga durata di un sistema che tenendo conto delle tradizioni e delle mutevoli esigenze della Francia ha saputo sempre riconciliare, con modalità ed effetti differenti, da un lato la rappresentanza con l'efficienza, dall'altro il parlamentarismo con la leadership». La proposta leghista - Anche in Italia il capo dello Stato sarà eletto dal popolo. Avrà un mandato di «cinque anni rinnovabile per due volte, come in Francia, ma con la differenza che non sarebbe eletto dal Parlamento in seduta comune integrato con i rappresentanti delle Regioni, ma ci sarebbe proprio un voto in cui il popolo decide di scegliere il proprio presidente della Repubblica». Lo dice Roberto Calderoli alla “Telefonata” di Maurizio Belpietro su Canale 5. Sulle reazioni degli alleati del Pdl, il ministro leghista chiarisce: «Abbiamo messo qualcosa nero su bianco per avere uno schema di lavoro, ma siamo aperti a qualunque soluzione. Noi abbiamo suggerito l'ipotesi francese perché ci sembra quella meglio calabile nel contesto italiano. Nella nostra proposta il presidente della Repubblica non ha un ruolo di governo: indica il primo ministro ma poi è il primo ministro a tenere e coordinare l'esecutivo. È un bilanciamento molto più forte a vantaggio del Parlamento, rispetto al modello francese, ma lo scioglimento e l'indizione sono tutte ancora in capo alla presidenza della Repubblica, non al capo del governo». Alfano frena - Sulla riforma della giustizia il ministro Angelino Alfano precisa: «Non c’è ancora un testo da presentare alle Camere perché stiamo lavorando all’interno della Costituzione con grande misura e ponderatezza. Poiché interveniamo sulla Costituzione, stiamo riflettendo sul testo più equilibrato. L’ago della bussola è comunque orientato verso la parità tra accusa e difesa. Il cittadino non può essere soccombente rispetto all’accusa nel processo, ma deve avere gli stessi diritti, gli stessi poteri e gli stessi doveri della pubblica accusa. È chiaro che partendo da questo presupposto ci muoviamo nel solco della riforma costituzionale». Inutile quindi «almanaccare su forme ipotetiche che non troveranno riscontro nella realtà». Sul doppio Csm, c'è il no di Mancino - "Non sono per due Csm e non ne vedo l’utilità. Pur trattandosi ancora di bozze non sono favorevole a due organismi rappresentativi che accentuerebbero l’isolamento del pubblico ministero". Il vice presidente del Csm Nicola Mancino boccia l’ipotesi contenuta nella bozza di riforma della giustizia presentata ieri dal Guardasigilli al premier. E sulla separazione delle carriere dice: "E' noto come la penso, reputo che si potrebbero anche separare le carriere e non necessariamente creare due Csm. Aspetterei però di conoscere il testo completo". Legittimo impedimento - In merito alla scelta di Napolitano sul legittimo impedimento, Mancino sottolinea che «un periodo di tregua era necessario fin dall'inizio della legislatura e il legittimo impedimento andrebbe incontro a questa esigenza». Infine ricorda che «fin dall'inizio della presente legislatura avevo suggerito di approvare una norma costituzionale la risposta fu che al Csm ci si comportava come una terza camera. Il consiglio non fu ascoltato, per questo si è dovuto ricorrere al legittimo impedimento».