Articolo 18, Napolitano non firma
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non firma il cosiddetto ddl lavoro. A provocare il rinvio alle Camere del testo è "l'estrema eterogeneità della legge" e in particolare "la complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale". La nota del Colle - Come si legge in un comunicato del Quirinale, il capo dello Stato "ha chiesto alle Camere, a norma dell’articolo 74, primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla legge: 'Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro". Un ulteriore approfondimento è necessario, secondo Napolitano, "affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale". Articolo 18 - I dubbi del presidente della Reopubblica riguardano l'articolo 20, che esclude dalle norme del 1955 sulla sicurezza del lavoro il personale a bordo dei navigli di Stato. Ma soprattutto al centro dei rilievi del Quirinale vi è la nuova procedura di conciliazione e arbitrato che incide sulle norme dell'articolo 18 relative al licenziamento. In particolare l'articolo prevede che già nel contratto di assunzione, in deroga dai contratti collettivi, si possa stabilire che, in caso di contrasto, le parti si affidino ad un arbitrato. Il timore è che al momento dell'assunzione il lavoratore accetti la via dell'arbitrato che lo garantisce di meno rispetto al contratto che tutela chi è licenziato senza giusta causa. I decreti omnibus - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, trova la spiegazione del rinvio nei "decreti omnibusi", i decreti "dove finiscono molte norme che spesso non hanno nulla a che vedere con il provvedimento originario e su questi decreti il presidente della Repubblica ha sempre mostrato sensibilità".