Sequestrati ai Salesiani beni per 130 milioni

Albina Perri

di Gianluigi Nuzzi- Don Bosco finisce pignorato con sigilli a seminari, palazzi, alberghi, uffici e opere di bene. Il tribunale sta infatti eseguendo in queste ore un decreto ingiuntivo tra Milano, Roma e Torino che aggredisce i beni storici dei salesiani in Italia tra proprietà immobiliari e depositi fino ai conti correnti dove affluiscono anche gli accrediti della beneficenza destinata agli interventi e alle iniziative di solidarietà in mezzo mondo. Gli ufficiali giudiziari hanno incarico di porre i sigilli a beni fino a 130 milioni di euro. Un’enormità. Non era mai accaduto nella storia recente della Santa Sede, nemmeno ai tempi dell’Ambrosiano di Roberto Calvi La notizia ha dell’incredibile, soprattutto se si considera la cifra astronomica di questa esecuzione forzata contro l’Opera che da Roma coordina attività in 128 nazioni: gli ufficiali giudiziari hanno incarico di porre i sigilli a beni fino a 130 milioni di euro. Un’enormità. Non era mai accaduto nella storia recente della Santa Sede, nemmeno ai tempi dell’Ambrosiano di Roberto Calvi, nonostante i timori che i liquidatori dell’istituto del banchiere ucciso a Londra potessero rivalersi sullo Ior, la banca del papa, di Paul Casimir Marcinkus. Mai un decreto ingiuntivo per una somma così consistente è diventato esecutivo. Eppure, quando ancora l’attenzione è sugli scandali a sfondo sessuale che con una certa sincronia affiorano in mezza Europa, accade anche questo. Risultato incredibile di una storia di eredità contesa che si trascina dal 1990 quando morì senza figli il costruttore di Dio ovvero il marchese Alessandro Gerini lasciando un patrimonio di 1.500 miliardi di vecchie lire accumulato in una vita da palazzinaro negli anni ’70 nell’Urbe. Un autentico tesoro: 750 ettari di terreni intorno all’Urbe, aree in gran parte a solo una firma dall’edificabilità, appartamenti, negozi e persino affascinanti casali alle porte di Roma. Ancora: depositi bancari, arredi, quadri e preziosi già valutati almeno 200 miliardi di vecchie lire negli anni ’90. Beni che Gerini aveva realizzato con importanti interventi edilizi nel Lazio e con un occhio di riguardo ai desiderata del Vaticano. Una fortuna che dal giorno della morte è contesa tra diversi gruppi di interesse. Innanzitutto i salesiani, indicati nel testamento come beneficiari del patrimonio,  poi nientemeno che Giovanni Paolo II. Tramite il plenipotenziario economico del papato di Wojtyla, il cardinale salesiano José Castillo Lara, cerca di far cadere nella gestione diretta del Santo Padre i beni. Illuminante, al riguardo, sono le missive in nome del Santo Padre che Castillo Lara invia a una fondazione svizzera dove erano confluiti beni del Gerini, custodite nell’archivio di monsignor Renato Dardozzi. Infine reclamano diritti anche alcuni eredi di terzo grado del marchese. In particolare tre nipoti: Giovanna, Antonio e il marchese Gerino Gerini. Questi avevano ceduto i loro diritti testamentari a un finanziere. Quest’ultimo aveva avviato un contenzioso sia con  la direzione generale Opere don Bosco sia con la controllata fondazione ecclesiastica istituto marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini che prese in carico l’asse ereditario. Una guerra di carte bollate durata 17 anni e che sembrava conclusa con un arbitrato nel 2007 quando si giunse a un accordo tra le parti:  i salesiani, versano subito 16 milioni di euro al finanziere che, da parte sua, si impegna ad accettare il 15% del patrimonio Gerini Una guerra di carte bollate durata 17 anni e che sembrava conclusa con un arbitrato nel 2007 quando si giunse a un accordo tra le parti: la fondazione, ovvero i salesiani, versano subito 16 milioni di euro al finanziere che, da parte sua, si impegna ad accettare il 15% del patrimonio Gerini per rinunciare a qualsiasi pretesa sulle enormi proprietà lasciate dal costruttore di Dio. Vennero fatte perizie e controperizie che valutarono il cespite in oltre 660,9 milioni di euro. In realtà, si trattava di un somma sicuramente in difetto visto che Alessandro Gerini aveva mimetizzato parte dei suoi beni intestandoli a società fantasma e prestanomi in paradisi fiscali di mezzo mondo ma si tratta comunque di una somma considerevole. A questo punto il finanziere batte cassa e chiede il suo 15% per chiudere la vicenda forte dell’atto di transazione firmato nel giugno 2007. Ma non arriva un cent.  All’appello mancano 83 milioni di euro. Contatti, incontri, telefonate, niente. Si apre inevitabilmente un’altra causa civile che tra interessi e spese legali porta a lievitare la somma reclamata a quasi 87 milioni di euro. A maggio scorso arriva il decreto ingiuntivo, i salesiani si oppongono ma non c’è niente da fare. In febbraio il giudice Antonia Macchini del Tribunale di Milano concede la provvisoria esecuzione mentre la controversia civile viene rinviata a settembre. Parte l’atto di precetto dell’avvocato Enrico Scoccini che segue questo contenzioso. Niente, silenzio. Da mercoledì gli ufficiali giudiziari vanno in banche e bloccano persino il bene simbolo, ovvero la Casa dell’Opera di don Bosco. La legge consente infatti di poter pignorare fino al 50% in più della somma pretesa e per questo si arriva  a circa 130 milioni di euro. Solo gli interessi legali dall’autunno del 2008, quando venne perfezionato l’accordo, ad oggi ammontano a 3,2 milioni di euro. Bisognerà anche considerare le spese e le parcelle, a iniziare da quelle dello staff legale presieduto da Scoccini, che andranno a confluire nel totale complessivo. Da parte loro i difensori Gianpiero Basso e Roberto Rollero che assistono la Casa dei salesiani nelle loro memorie sostengono in sintesi che quegli eredi già sono stati liquidati e che la transazione non è valida visto che la valutazione dei beni non si svolse in modo corretto. Né ritengono che la controparte sia davvero titolare dei diritti ereditari.  Una posizione che sembra vacillare dopo le decisioni dei giudici. “Abbiamo chiesto il pignoramento anche presso la sgr Polaris – conferma il civilista Scoccini -  con sede a  Milano e dove sarebbero custoditi portafogli di investimenti dei salesiani. Siamo anche intervenuti presso le regioni Lazio  e Lombardia, per i corrispettivi dovuti in forza di convenzioni in corso. Abbiamo inoltre pignorato  i terreni della Fondazione a Fiumicino di oltre 70 ettari, i terreni a Roma località Falcognana di oltre 50 ettari, alcuni appartamenti e società immobiliari. Per quanto riguarda la Direzione Opere Don Bosco, abbiamo pignorato l'intero complesso immobiliare di via della Pisana, sede della direzione, che comprende anche un albergo, sale convegni e numerosi uffici”.