Ammanettati a Di Pietro

Albina Perri

 Quando entra nella Sala del Mappamondo, Pier Luigi Bersani non ha la faccia di uno che ha voglia di festeggiare. E finita la conferenza stampa, scappa via. Antonio Di Pietro, invece, è esultante. Cerca le telecamere, sorride, resta anche quando Bersani se n’è andato. L’ex pm oggi ha segnato un punto: dopo tanto parlare, da parte del segretario del Pd, di alleanza allargata all’Udc, oggi, intanto, si annuncia che il patto con l’Italia dei Valori è saldo e strategico. «Per oggi e per domani», come dice Di Pietro. Bersani sottolinea la prospettiva, l’obiettivo è costruire «un’alternativa di governo». Con l’Italia dei Valori, ma non solo. Intanto, però, si riparte da Di Pietro.  Il fatto è che l’Idv, ammettono i bersaniani, è il secondo partito di opposizione. E finché l’alleanza con l’Udc non è su scala nazionale, fino a quando il Pd è sotto al 30% e la sinistra radicale è inesistente, l’ipotesi di sostituire l’Idv con i centristi, che pure è accarezzata da Bersani e D’Alema, è irrealizzabile. E così ecco la photo opportunity con Di Pietro. Di Pietro: no a Loiero Di Pietro: Non si può lasciare il Paese a un governo che toglie agli onesti per dare ai disonesti, che illude i cittadini lanciando palloni nel vuoto, che criminalizza le istituzioni. Il Paese non può tornare nella mani di una maggioranza piduista che instaura un regime. Vogliamo un’alleanza per l’oggi e per il domani. Prima di incontrare la stampa il segretario del Pd e l’ex pm hanno avuto un colloquio quattr’occhi. Si è fatto il punto sulle Regionali. L’intesa è fatta in 11 regioni su 13. Mancano Campania e Calabria. Lì Tonino ha posto due condizioni: no ad Agazio Loiero, no a Antonio Bassolino o a suoi uomini. Se il Pd, come sembra, dovrà ripiegare nel primo caso sul governatore uscente e nel secondo su un fedelissimo di Bassolino (se si fanno le primarie, l’attuale presidente è pronto a candidare Andrea Cozzolino, suo uomo, per battere il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca), allora l’Idv andrà da sola. In Calabria metterà in campo Pippo Callipo, che ieri ha avuto l’appoggio dei Radicali, in Campania potrebbe candidarsi Luigi De Magistris o lo stesso Di Pietro. A parte queste due eccezioni, l’alleanza tiene ovunque. Bersani insiste sull’«esigenza che si lavori per coalizioni larghe, competitive con il centrodestra». Certo, i due partiti hanno differenti modi di fare opposizione. «Ma», spiega Bersani, «c’è la volontà di fondo di costruire un’alternativa di governo» a partire da «comuni convinzioni» su economia, lavoro eccetera. Si guarda alle Regionali, ma «stiamo lavorando per un altro film». Di Pietro sottoscrive, ma aggiunge del suo: «Non si può lasciare il Paese a un governo che toglie agli onesti per dare ai disonesti, che illude i cittadini lanciando palloni nel vuoto, che criminalizza le istituzioni. Il Paese non può tornare nella mani di una maggioranza piduista che instaura un regime. Vogliamo un’alleanza per l’oggi e per il domani». Si impegna, in cambio, a lavorare «nel massimo rispetto verso le istituzioni di garanzia e con l’impegno verso il Pd a lavorare con rispetto reciproco». La minoranza non si lascia scappare l’occasione. Dice il veltroniano Giorgio Tonini: «Quando c’era Walter ci chiedevano un giorno sì e l’altro pure di rompere con Di Pietro. Oggi vedo che si abbracciano...». Primarie in umbria Le frizioni tra minoranza e maggioranza, del resto, non si limitano al rapporto con l’ex pm. Ieri ha tenuto banco il caso Umbria, con franceschiniani e veltroniani a insistere per le primarie e bersaniani a cercare la via per riconfermare in un terzo mandato Rita Lorenzetti. Nell’ennesima riunione al Nazareno, però, Bersani, memore del caos pugliese, ha consigliato ai dirigenti umbri di fare le primarie. All’uscita, però, Lamberto Bottini, segretario regionale, ha fatto sapere che non ci sono i tempi. Franceschiniani e veltroniani, però, non hanno intenzione di mollare la presa. Per tutto il pomeriggio in Transatlantico si sono avvicendati capannelli di fedelissimi attorno ai due ex segretari. «A nessuno venga in mente di proporre soluzioni architettate in stanze ristrette, non ci stiamo a candidati frutto di un improbabile caminetto», intimava Mauro Agostini, per ora l’unico candidato alle primarie. Riferimento al tentativo dei bersaniani di trovare un terzo nome condiviso. Lo stesso Bottini oppure l’ex sindaco di Perugia Renato Locchi. Ipotesi, soprattutto la prima, che sembrava andare bene ai fassiniani. Ma Dario Franceschini e Walter Veltroni non vogliono sentire ragione. «O primarie o niente». Gli eventi pugliesi, oltretutto, sono un’ottima sponda. Come spiegava Tonini in Transatlantico: «I nostri elettori, con questo schiaffone, ci hanno detto due cose. Primo, vogliono le primarie. Sono nello statuto e anche chi ha vinto il congresso non le ha mai messe in dubbio. E c’è subito un banco di prova: facciamole in Umbria, Campania e Calabria. Cosa aspettiamo? La seconda è “no” ad alchimie politiche: le alleanze si costruiscono ma dal basso». E non si venga a dire che Rita Lorenzetti, il presidente uscente, ha governato bene e quindi non c’è motivo di cambiarla. «Intanto il mito dell’Umbria rossa non esiste più da tempo», osservava Walter Verini, «non dimentichiamoci che in questi due anni abbiamo perso circa dieci comuni in Umbria: Orvieto, Todi, Montefalco, Gualdo Tadino, Bastia Umbra... Certo non per colpa di Lorenzetti, ma forse, dopo dieci anni, c’è bisogno di ripensare qualcosa...».  E Giovanna Melandri: «Le primarie in Umbria sono la nostra linea del Piave». Cambiano i nomi, i protagonisti, ma l’impressione è di rivedere lo stesso film della Puglia. di Elisa Calessi