Addio a Beniamino Placido

Albina Perri

Maestro dello scrivere brillante, arguto, mai banale, con Beniamino Placido scompare una delle penne più vivaci ed inventive della critica italiana, soprattutto televisiva ma non solo, per il suo saper spaziare tra cultura popolare e letteratura senza perdere lo sguardo lucido e sapiente. Placido era nato a Rionero in Vulture, in Basilicata, nel 1929 ed è scomparso questa notte a Cambridge, dove si era trasferito negli ultimi mesi per avvicinarsi alla figlia Barbara che vive lì, perchè malato. Ma in realtà ha passato la maggior parte della sua vita a Roma, dove si era trasferito dopo aver vinto, per concorso, la carica di consigliere parlamentare della Camera dei deputati. Negli anni Sessanta Placido si era trasferito negli Stati Uniti per studiare la letteratura angloamericana e per questo, tornato a Roma, ottenne la cattedra all'Università La Sapienza. Molti lo ricordano come un professore molto amato dai suoi studenti ma la sua passione fu quella della critica televisiva, di cui fu uno dei pionieri, di certo un maestro. La sua popolarità è legata ai suoi pezzi su La Repubblica, dove iniziò a collaborare nel 1976 e dove dal 1986 per otto anni firmò la rubrica quotidiana «A parer mio» per poi passare a collaborare con Il Venerdì.Decise allora di inaugurare uno stile di vita: chiuso in casa ogni sera sprofondato nella poltrona davanti alla tv, con la penna in mano e armato dello spirito sarcastico da Woody Allen, al quale somigliava anche un pò fisicamente. La sua popolarità è legata ai suoi pezzi su La Repubblica, dove iniziò a collaborare nel 1976 e dove dal 1986 per otto anni firmò la rubrica quotidiana «A parer mio» per poi passare a collaborare con Il Venerdì. È stato tra i primi ad occuparsi di tv, elevando il tubo catodico al rango di media degno di nota. Celebre la diatriba su chi, lui o Alberto Arbasino, abbia inventato il personaggio della «Casalinga di Voghera», ovvero il tipo medio dello spettatore italiano, privo di riferimenti culturali ma assetato di sentimenti ed emozioni forti. Ma è con Aldo Grasso che Placido si contende la palma del maestro della critica tv in Italia, e non a caso per Grasso Placido scrisse l'introduzione alla Storia della televisione italiana. Non fu però un amore a prima vista, quello per il piccolo schermo: «Affetto da misoneismo febbrile come tutti gli altri - scriveva Placido a proposito della nascita della tv - non volevo avere una televisione in casa, come tutti gli altri intellettuali (si fa per dire) colpiti dal morbo». Ma poi divenne, come milioni di altri italiani, un fan scatenato di Lascia o raddoppia? e tutto cambiò. Fece critica televisiva anche in tv dove, insieme a Tommaso Chiaretti e Giuseppe Sibilla, realizzò «16 e 35» (1978), un quindicinale in onda su Raidue che per lo stesso Grasso fu «felice dimostrazione di come si possa fare critica televisiva non rinunciando allo spettacolo ma soprattutto all'onestà intellettuale». Fino al viaggio semiserio, come solo Placido sapeva essere, di «Eppur si muove» (1994) un programma alla scoperta del carattere italico dove erano mirabilmente lo stesso Placido e Indro Montanelli a condurre il gioco. Sull'universo televisivo ha pubblicato: Tre divertimenti, Variazioni sul tema dei Promessi Sposi, di Pinocchio, e di Orazio 1990, e La televisione col cagnolino 1993. Non risparmiò mai neanche l'autoironia e si mise in scena nel ruolo del critico teatrale, nel film Io sono un autarchico di Nanni Moretti.