Mafia-Stato, Mori nega tutto:
“Una trattativa, per sua natura, deve essere riservata,presuppone il rispetto del segreto. Io parlai dei miei incontri con Cianciminoprima con Violante, allora presidente dell'Antimafia, poi con Caselli, che si eraappena insediato al vertice della Procura di Palermo”. Respinge l'accusa diavere dato il via alla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia il prefettoMario Mori, ex comandante del Ros sotto processo a Palermo per favoreggiamentoa Cosa nostra. Mori ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee dopo ladeposizione, al dibattimento, dell'ex presidente dell'Antimafia LucianoViolante che ha ricostruito i suoi incontri con l'ufficiale dell'Arma. L'expolitico ha riferito che in quelle occasioni Mori gli fece presentel'intenzione dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino di essere ricevuto apalazzo San Macuto. “La ricostruzione di Violante - ha detto Mori - è per me digrande importanza perché prova, pur avendo molte lacune, che il miocomportamento fu trasparente”. L'ex comandante del Ros, poi, oltre a ricordaretutti gli incontri con Violante che ebbero a oggetto Ciancimino, ha ricostruitopuntualmente il contesto investigativo e storico precedente alle stragi:dall'omicidio Lima, all'inchiesta del Ros su mafia-appalti, mai - a dire delprefetto - sostenuta dalla procura di Palermo, ai rapporti intrattenuti conFalcone e Borsellino che, invece, erano convinti dell'importanza dell'indaginedei carabinieri sugli intrecci mafia, politica e imprenditoria. Nelle sue lunghe dichiarazioni spontanee Mori, che ha definito l'ipotesi di un dialogo tra Stato e mafia come la ''resa vergognosa dello Stato a una banda di volgari assassini'', ha ricordato tutti i suoi contatti con Vito Ciancimino, finalizzati a convincere l'ex sindaco a collaborare con la giustizia. Al centro dell'intervento dell'imputato anche i suoi rapporti con Borsellino e gli incontri avuti col magistrato: come quello del 25 giugno del 1992 in cui l'ufficiale e il magistrato avrebbero parlato dell'indagine su mafia e appalti su cui sia il Ros che il giudice puntavano molto. Contatti proseguiti fino all'immediatezza della strage di via D'Amelio, prova, secondo Mori, dei buoni rapporti che intercorrevano tra il reparto operativo e Borsellino. Giovanni Ciancimino: “I contatti con l’altra sponda” - ''Venti giorni dopo la morte di Falcone, che per me fu scioccante, andai a trovare mio padre. Mi disse “questa mattanza deve finire”. Sono stato contattato da personaggi altolocati per parlare con l'altra sponda. Io sapevo a cosa si riferiva con l'espressione “l'altra sponda”: si riferiva alla mafia, parola che davanti a me non pronunciava mai''. Lo ha ricordato Giovanni Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, sentito dai giudici della IV sezione del tribunale di Palermo che processano il prefetto Mario Mori, ex comandante del Ros e il colonnello Obinu per favoreggiamento alla mafia. Secondo la tesi dei pm di Palermo fu proprio Mori a intavolare un dialogo con Ciancimino, che per conto dei boss corleonesi, avrebbe dovuto trattare con le istituzioni per porre fine alla strategia stragista di Cosa nostra. ''Io restai scioccato, basito e litigammo'', ha aggiunto collocando l'episodio tra l'eccidio di Falcone e quello di Borsellino. ''Dopo la strage di via d'Amelio - ha continuato - mio padre mi chiamò e mi propose di fare una passeggiata. In auto mi disse, 'tu che sei avvocato, cosa è la revisione del processo'. Io glielo spiegai. A quel punto aggiunse: 'Allora si può fare la revisione del maxi processo!'''. Ciancimino ha aggiunto che il padre durante il colloquio tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta arrotolato. Secondo i magistrati si sarebbe trattato del cosiddetto papello con le richieste della mafia allo Stato.