Carceri sovraffollate, l'Italia

Michelangelo Bonessa

Risarcito per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella: è la condanna che la Corte europea ha previsto per l’Italia legata alla vicenda del bosniaco Izet Sulejmanovic, condannato per furto aggravato a due anni di detenzione nel carcere di Rebibbia e che sarebbe stato vittima di “trattamenti inumani e degradanti”. Il nostro Paese ora gli deve un risarcimento di mille euro. La vicenda - Tra il novembre 2002 e l'aprile 2003, secondo quanto accertato dalla corte, Sulejmanovic ha infatti condiviso una cella di 16,20 metri quadri con altre cinque persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre diciotto ore al giorno. La corte, nella sua decisione, rileva come la superficie a disposizione del detenuto è stata molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. La situazione è migliorata solo in un secondo momento, quando il detenuto è stato trasferito in altre celle occupate da un minor numero di detenuti, fino alla scarcerazione, avvenuta nell’ottobre del 2003. "Occorrono nuove regole" - “Poiché in Italia i detenuti (circa 64 mila) che vivono in condizioni di sovraffollamento sono la quasi totalità – ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione 'Antigone' che si batte per i diritti nelle carceri - lo Stato rischia di dover pagare 64 milioni di euro di indennizzi”. Gonnella ha incalzato il governo perché “la condanna dell'Italia impone soluzioni definitive per le carceri e mette definitivamente fuori legge l'attuale gestione del sistema penitenziario”. La risposta - Franco Ionta, capo dell'attuale Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha evitato di commentare la sentenza, limitandosi ad osservare che “i mille euro sono di equo indennizzo perché l'arco temporale sofferto dal ricorrente è stato molto limitato”. La condizione carceraria del bosniaco, ha proseguito Ionta, “viene definita più che accettabile (anche dal punto di vista dell'assistenza sanitaria) visto che il detenuto trascorreva almeno dieci ore al giorno fuori dalla cella per svolgere altre attività”. “Personalmente – ha concluso - non mi risultano ricorsi dello stesso genere pendenti davanti alla Corte di Strasburgo e non credo che casi denunciati dal detenuto bosniaco siano oggi così diffusi in Italia”.