Del Turco si dimette
Il Presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano del Turco, si è dimesso dalla carica di governatore. Con una lettera inviata al Presidente del Consiglio regionale, Marino Roselli, del Turco, arrestato per corruzione nell'ambito di un'inchiesta su presunte tangenti per la gestione della sanità, ha dato le dimissioni. L’avvocato del politico, Giuliano Milia, riferisce anche gli esiti dell’interrogatorio a cui il Presidente delle Regione Abruzzo è stato sottoposto stamane. Ha risposto a tutte le domande del pool di magistrati di Pescara, discolpandosi e chiedendo la revoca degli arresti. "Non porto rancore per nessuno". Ottaviano Del Turco ha incontrato ieri nel carcere di Sulmona i deputati Giancarlo Lehner e Renato Farina del Pdl. "Quando si sta in isolamento si perde la cognizione dello spazio...Non si sa se si è in Italia o chissà dove", ha detto il presidente della Regione Abruzzo arrestato per associazione a delinquere e corruzione. «Del Turco -spiega Lehner- ha lodato il personale del carcere e il direttore della struttura. Non può parlare ovviamente dell'inchiesta. Io e Farina abbiamo comunque ricavato la sensazione che, anche se spaesato, è determinato a combattere. Insomma, sono certo che se si è trattato di un teorema, Del Turco è sufficientemente combattivo per smontarlo». Ecco invece il racconto di Farina: Sulmona, carcere. Le lenzuola sono scostate e c’è uno straccio azzurro, forse un asciugamano. Pane sbocconcellato sul tavolino, libri. Ma Ottaviano Del Turco non si vede. La cella è vuota, dico. Il direttore si tocca gli occhiali alla moda di Gramsci e trattiene un sobbalzo. Non si pensa da queste parti che uno sia scappato, ma sia morto, si sia soffocato, si sia bucato le vene sul bugliolo nascondendosi un metro lontano. Qui è reparto isolamento, alta sicurezza. La guardia ci raggiunge e dice: «Passeggia». Dietro l’angolo, circondato da quattro agenti vestiti di azzurro, avanza quest’uomo caduto nell’abisso. Era il re d’Abruzzo. Muove le gambe piano. La Lacoste azzurra è linda. Le scarpe sono color panna, di pezza, senza stringhe. Vede me, che lo conosco da una vita, e vede l’antico compagno di partito socialista Giancarlo Lehner. Due deputati in visita. Lui mi dice: «Ciao Farina». Poi gli viene da piangere ma si trattiene. Gli occhi verdi gli pizzicano di lacrime che nasconde, la voce di un arrestato non è mai quella di prima dell’arresto, ma lui la tiene su di tono. Dice subito: «Amico, amici. Tu Farina occupati se puoi di mio figlio Guido. Digli che mi difenderò, combatterò. Queste accuse sono così fa…». Interviene il direttore. «Non si può, non si può». Fa come fasulle, false, fantasiose? Di certo non ha intenzione di confessare alcunché. Lehner, che è una vecchia volpe craxiana, mi spiegherà che ha capito da quella sola parola che intende dare un’altra interpretazione delle 400 e passa pagine di accuse. Il patto è: nessun accenno al caso giudiziario. Ogni volta che scappa una parola il dottor Sergio Romice si picchia sul petto, come dire: mi mettete in croce, e ci fermiamo. «era luglio» Lui racconta: «Siete venuti a imparare la vita del carcerato? Ho visto incarcerare molti compagni, ma quando si fa esperienza è diverso, accade qualcosa di impensabile. Io ho immediatamente pensato a Gabriele Cagliari». Il direttore si spaventa: «Guai, non è il suo caso». Del Turco: «Era luglio, il luglio del 1993, un caldo come quello di oggi. E lui si uccise. Si uccise perché un pubblico ministero gli aveva mentito promettendogli la libertà e poi negandogliela». In questi casi ci sono le solite parole, le eterne parole che si dicono quando si va a un funerale, e muore la mamma, il marito, il figlio....