Berlusconi adesso ha tre strade
A Philip Delves Broughton, giornalista in forza al prestigioso Atlantic, Silvio Berlusconi non ha fatto una grande impressione. «Malgrado i suoi sforzi per ingannare il tempo - trucco spesso e capelli tinti di marrone - non riesce a nascondere la sua vera età». Il cronista, nel raccontare una lunga intervista con l’ex premier (la seconda in pochi giorni dopo quella al Financial Times, ne seguirà una a France Soir): «Dopo anni di stringente attenzione al fisico, è improvvisamente ingrassato. La sua grossa pancia deborda dalla cinta». Ciononostante, il combinato disposto dell’importante conversazione con Libero e le reazioni che questa ha suscitato mostrano che, nell’intero campo di una politica sballottata dalla rivoluzione tecnica, il Cavaliere spodestato ha mostrato le doti maggiori di comprendonio e ha sparigliato il mazzo. L’offerta in pieno spirito bicamerale al Pd, la riflessione sui «voti dispersi», il cuneo infilato a sinistra su lavoro e giustizia, le implicite conseguenze nel rapporto con la Lega su cui si è imperniato il colloquio con Salvatore Dama sono, tecnici a parte, i segnali più rilevanti delle ultime settimane. Berlusconi pare aver capito, nella palude stretta tra inevitabile sostegno al governo e malumori sui provvedimenti impopolari, che l’ipocrisia del «sì, ma» non poteva pagare. Per questo è uscito allo scoperto dichiarando pieno sostegno a Monti, elogiandolo sull’ultra-istituzionale Financial Times e rassicurando il Capo dello Stato, primo e più strenuo padrino e guardia pretoriana del premier. L’ha fatto sapendo di sfidare l’ultimo leghista a lui fedele oggi, Umberto Bossi, da cui si è preso del «cagasotto» e della «mezza cartuccia». Ma adesso a essere in mezzo al guado è proprio la Lega, che non pare avere la forza di ribaltare le giunte (qui, anzi, è stato Maroni, in teoria alfiere dello smarcamento dal Cav, a frenare sul ribaltone lombardo) e al tempo stesso ha tutto da perdere in un eventuale accordo sulla legge elettorale. Di certo Bossi e il Cavaliere avranno parlato di questo, ieri, a cena. All’angolo rischia di finire il Pd, che non può levare il sostegno a Monti e rischia di fare figura di irresponsabile se si sfila dall’offerta salva-bipolarismo, regalando magari pure Casini al centrodestra futuro, o viceversa assicurandosi mesi di garretti morsi da Di Pietro e perfino da Vendola, che spara a salve sul Parlamento salvo lavorare per entrarci con Bersani. Ora però, perché tutto questo non resti il tatticismo di un giorno, serve che la mano tesa diventi tavolo, accordo, contenuto. Ci vorrebbe un partito, un’intesa vera per cambiare le regole adesso e spaccarsi di mazzate in campagna elettorale poco dopo. A meno che - la liquidità di questa fase lo rende ipotizzabile - non si pensi davvero, come Casini ripete da settimane, che si vada verso un governissimo Monti-style («di armistizio», lo chiama Pier). Ma allora è il momento di dirlo, di lavorarci, di sputar fuori idee e uomini, facce e progetti, in primis da parte del Pdl che è il partito che ha più interesse a seguire Berlusconi, fino a prova contraria. Altrimenti si finirà per dar ragione a chi sospetta che quello del Cav sia un modo per prender tempo e fare i propri interessi, e che gli altri continuino soltanto a vivacchiare, in attesa di farsi cannibalizzare dai tecnici che ci prendono gusto. di Martino Cervo