Il grande inganno del web 2.0

Silvia Tironi

di Francesco Specchia - Wikipedia ha avuto un doloroso rigurgito di democrazia. Alleluja. La più grande enciclopedia virtuale del mondo (3milioni di voci solo in inglese, più di 330 milioni d’utenti), si sa, vive da sempre sull’assioma del anyone can edit, su “chiunque può pubblicare”. Ma le voci delle sue pagine si stavano talmente modificando e taroccando, nel gossip e nell’immaginifico che il fondatore Jimmy- Jimbo- Wales ha fissato il paletto. La modifica delle voci dovrà ora essere approvata da un editor ufficiale esperto (l’operazione è la flagged revision); così i malintenzionati e i goliardi della Rete eviteranno di farcirla di falsità e inesattezze. Diciamolo. La minchiata, su Wikipedia, è sempre in agguato come un brigante di strada. Per dire: Ted Kennedy fu dato per morto anzitempo; di Obama si scrisse che era un musulmano nato in Kenya; il macho Riccardo Scamarcio si è improvvisamente scoperto omosessuale con tanto di outing pubblico; il parlamentare tedesco Lutz Heilman ha realizzato di aver avuto un divertente (ma falso) passato nel mondo del porno. E ancora: l’ex sindaco di Firenze Dominici ha querelato il sito per informazioni elettorali tendenziose; per l’identico motivo gli editori di Libero, gli Angelucci sono ricorsi alle vie legali. E perfino la pagina dedicata a  “Mike Bongiorno” è stata bloccata per impedire “i vandalismi dei soliti buffoni”. i falsi miti Per non dire delle decine di colleghi giornalisti - di cui per carità taciamo i nomi - che fruiscono dell’enciclopedia per spacciare curricula degni di Montanelli. Insomma, il colmo s’era raggiunto. Il fondatore di Wikipedia, costretto con imbarazzante frequenza, a pagare avvocati e a comprare intere paginate del New York Times per scusarsi  promettere riforme che tardavano ad arrivare, ha dato un taglio all’appendice molesta della “democrazia dell’utente”. D’altronde sin dai tempi dell’Athenaion Politeia, del controverso saggio attribuito a Tucidide, la democrazia  ha subito degenerazioni non comuni. Sull’argomento è appena uscito, peraltro, “La regina del mondo” di Jacques Julliard (Marsilio) miglior libro politico in Francia. In cui si prospetta l’ultima tesi sull’eccessivo potere dell’opinione pubblica: renderebbe la democrazia rappresentativa una nefasta democrazia d’opinione («la doxocrazia è la sottile malattia delle società contemporanee»), spesso attraverso l’uso picaresco delle avanguardie tecnologiche. In soldoni: il “potere del popolo” va temperato col rispetto dell’istituzione; e - nel caso dell’informazione web - con la necessità di un filtro che eviti che la paccottiglia intasi il sistema. Il filtro, tanto per capirci, sarebbero i maledetti giornalisti. Ovviamente gli smanettoni di Internet, gli internauti fondamentalisti, i cosiddetti netizen (net citizen, cittadini della Rete) non l’hanno presa molto bene. Si sono ribellati al nuovo controllo preventivo di Wikipedia; e hanno postato e taggato e linkato di tutto contro il presunto tradimento dell’opensource, il progetto aperto della democrazia che nasce dal basso. Eppure in questa querelle che sta sfrigolando nell’agorà di silicio, ben s’inserisce una teoria che tende ad avallare il nuovo corso di Wales. E a scardinare il sistema stesso. È la teoria del collega Fabio Metitieri che nel “ Grande inganno del web 2.0” (Laterza), libro maledetto considerato il Necronomicon della Rete, ribalta un luogo comune oramai radicato: l’attendibilità dei contenuti, dai blog ai social network, rischia di saltare senza gl’intermediari classici dell’informazione. «In un’Internet che è diventata mainstream, di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma è ancora più difficile valutare ciò che si è trovato», scrive Metitieri, tra l’altro da poco scomparso. «In questo desolante contesto» ha messo le sue radici l’ideologia del Web 2.0». Ossia quella nuova definizione della rete che imperversa sui media e che sarebbe («ma è falso») un perfezionamento del vecchio Web 1.0. Un Web 2.0 dove tutti sono autori ed editori, dove non servono più gli intermediari della conoscenza, dove tutti sono valutati per i contenuti che producono e non per  ciò che sono nella realtà. Secondo i paradigmi del Web 2.0 «non solo gl’intermediari dell’informazione, giornalisti, bibliotecari, editori - oggi non servono più», ma anche le identità reali e i curricula diventano inutili. E qui affiora il lato oscuro degli user generated content, gli “editori di sé stessi”, i cui contenuti  vengono vagliati solo dalla swarm intelligence, ossia la “saggezza collettiva” che emerge  dalla ragnatela dei link reciproci, dei blog, dei tag, delle parole chiave. E s’innalza il grido d’allarme per la vera autorevolezza dell’informazione, paradossalmente minacciate dagli utenti diretti, i blogger in primis. contro l’utente dal basso Naturalmente anche Metitieri, studioso della materia dal ’92, è stato massacrato dai guru del web 2.0. I quali, presuntuosamente, si son difesi rispolverando la vecchia metafora di Kant e dell’ornitorinco di Eco, che spiegava quanto fosse difficile descrivere un animale nuovo usando come modello solo animali già conosciuti. Come dire: sei un pirla. A costoro Metitieri ha ribattuto che non si vedono “ornitorinchi nel web semmai lemming”, quei simpatici roditori che si buttano in massa dalle scogliere norvegesi come sulla scia d’un immaginario pifferaio di Hamlin. L’autore infine, introduce  la necessità della information literacy, la faticosa e misconosciuta arte di imparare come imparare nel valutare le fonti del web. Tale posizione ne ricalca una recentissima, anti blog,dell’Atlantic Monthly, autorevole rivista americana che denuncia che “tra i primi 50 blog al mondo gli autori autoprodotti sono rimasti pochi e i veri indipendenti hanno raggiunto lo scopo”: sono, cioè, diventati i giornalisti che prima attaccavano (vedi Ezra Klein sul Washington Post). Noi, cronisti della generazione di mezzo appassionati quanto basta dell tecnologica come dell’antico mestiere, chiediamo per la verità svelata di Metitieri la standing ovation. La vera democrazia è sudore e suola da scarpe.