Morto il più vecchio al mondo
Se ne è andato nel silenzio della notte, mentre dormiva, dopo 113 anni vissuti intensamente. Henry Allingham, l’uomo più vecchio al mondo, è morto alle 3:10 (ora inglese) di sabato nella casa di cura di Brighton dove era stato ricoverato in seguito alla perdita della vista. Era anche l’ultimo reduce britanico della Prima guerra mondiale e lo scorso 20 giugno il Guinness World Record aveva sancito che era lui l’uomo più vecchio sulla Terra: Henry aveva compiuto 113 anni il 6 giugno e aveva ricevuto lo “scettro” dopo la scomparsa del giapponese Tomoji Tanabe, morto alla stessa età. Sigarette, alcol e donne - Henry Allingham ha combattuto nelle trincee del primo conflitto mondiale, è stato tra i fondatori della Raf, la mitica aviazione di guerra della Gran Bretagna ed era l’ultimo sopravvissuto della Royal Naval Air Service. Una vita passata tra le armi e i motori, dal momento che ha lavorato fino al 1961 alla Ford. Nato a Clapton, nell’est di Londra, aveva attribuito la sua longevità alle “sigarette, il wiskhy e alle pazze, pazze donne”. Eppure per 50 anni ha vissuto con la moglie Dorothy e ha visto nascere nipoti, figli dei nipoti e, addirittura, il figlio di un figlio dei nipoti. Insomma, si è goduto la discendenza. Sul fronte della Prima guerra mondiale - Dal 2006, dopo aver perso la vista, era ricoverato alla casa di cura St. Dunstan’s, un centro di cura per tutti gli ex arruolati dell’esercito inglesi con problemi agli occhi. In molti gli hanno chiesto quale fosse il segreto del vivere così a lungo, ma il vecchio Henry ha sempre risposto che non c’è. Oppure consiste nel “prendersi cura di se stessi e capire quali siano i propri limiti”. Nel 1915 si arruolò nell’esercito, confessando a distanza di anni che in quel momento non era in grado di realizzare cosa significasse la guerra, uno sporco affare perché “è stupida, nessuno vince”. Non dimenticò mai le battaglie combattute nelle trincee colme di acqua e di fango. “Sapevano cosa stesse per accadere”, ha raccontato riferendosi ai tanti commilitoni persi in battaglia, “e non credo che abbiano mai avuto l’ammirazione e il rispetto che meritavano”.