Adulteri inediti
Ecco l'ultima amante del Duce:una musicista poliglotta corteggiata anche da D'Annunzio
Benito Mussolini ebbe un tale numero di amanti che bisognerebbe raccoglierne i nomi in un catalogo Bolaffi. Molte di queste donne furono intellettuali o artiste, come la scrittrice ebrea Margherita Sarfatti, la famosa pianista bretone Magda Brard, l’anarchica musulmana Leda Rafanelli, la giornalista Ester Lombardo, la poetessa e mondana d’alto bordo Cornelia Tanzi e, ancora, l’avventuriera e reporter francese Magda Fontanges. La stessa Claretta Petacci aveva un temperamento artistico: suonava il pianoforte e dipingeva discreti quadretti. Questo trasporto verso le donne colte ci induce a parlare di un dannunzianesimo amoroso del Duce, ancora relativamente poco scandagliato nelle sue più recondite sfaccettature. Tanto che una di queste Muse e amanti è rimasta fino a oggi sconosciuta. L’ho scoperta proprio di recente, grazie alla segnalazione di una persona che stimo e di cui mi fido: lo scrittore Sergio Marzorati, arca di sapere, nonché amico e biografo di Margherita Sarfatti. Ebbene, Marzorati, nei passati decenni, ebbe modo di frequentare Castell’Arquato, e di conoscerne alcuni abitanti che gli riferirono la storia di una bella contessa, poetessa e compositrice che amò Benito. Talento letterario Mussolini, forse in anni precedenti la sua discesa a Roma (dopo l’investitura a capo del governo), andava regolarmente a Castell’Arquato, per trattenersi nella villa della sua fiamma. Ospite discreto e, c’è da giurare, amorevolmente accudito. Per scoprire chi fosse la misteriosa contessa, sono venuto in questo borgo piacentino della Val d’Arda, con la sua suggestiva rocca medievale di mattoni rossi che paiono incendiarsi alla luce del sole di mezzogiorno. Castell’Arquato, tra l’altro, diede i natali a Luigi Illica, il celebre librettista di Giacomo Puccini. Gli anziani del paese ancora ricordano chi fosse questa Musa di cui Mussolini s’invaghì. Era la nobildonna Giannina Boselli, che sposò un conte arquatese, Ettore Pallastrelli, di professione avvocato. Dopo il matrimonio, l’aristocratica, nata a Piacenza nel 1879, e dunque di quattro anni più anziana del Duce, venne ad abitare a Villa Monteverde, un edificio tuttora esistente, con una torretta che domina la vallata sottostante. La figura di Giannina merita di essere conosciuta, perché fu un talento letterario e musicale, oggi sepolto nell’oblio. Autrice di molte opere, da componimenti poetici in italiano e in francese a drammi e fiabe musicali, fu lodata dallo stesso Gabriele D’Annunzio. Il Vate, nel 1920, le inviò in dono una sua raccolta di prose di carattere memorialistico, Contemplazione della morte. La dedica, autografa, del poeta, recitava: «Alla contessa Pallastrelli Boselli cara alle Muse della vita e della morte». D’Annunzio ricambiava l’omaggio della poetessa, che gli aveva mandato una sua opera fresca di stampa, edita dalla Tipografia Porta di Piacenza: L’incantatrice. Dal libro di Elodiana e di Maurice Abbel aviatore francese. Il volume, che si conserva tuttora al Vittoriale, contiene queste parole di dedica: «O audacissimo tra gli audaci re de l’azzurro e custode de l’insonne mare, a Noi oggi 23 maggio, anniversario della grande Vigilia. Giannina Pallastrelli 23 maggio Quarto dei Mille». La contessa era una donna giunonica, alta, seno prosperoso, proprio come piaceva a Benito. Il suo carattere estroverso, un po’ teatrale, l’aveva resa cara agli studenti della locale scuola di avviamento professionale agricolo. Un suo superstite allievo la ricorda come una figura eccentrica, che cercava di inculcare l’amore per il teatro a quella gioventù rurale che pareva destinata soltanto a zappare. Un’altra anziana ne serba commossa memoria, raccontandocela come «persona meravigliosa». Nessun documento è purtroppo in grado di restituirci dettagli e particolari di quella sinfonia amorosa che s’accese tra Benito e la sua Musa dell’Arda. Ma traccia di quel vortice di passione si ritrova nelle liriche di mistica adorazione del Capo, composte dalla stessa Giannina e da lei affidate alla capacità mnemonica degli allievi che le recitavano. Un sonetto conteneva versi come questi: «Duce austero terribile e prudente / che la mano ponesti nella chioma della vittoria / Tu che premi col tuo piede possente / l’idra anarchia con sua sanguigna soma / e sotto al volo dell’aquila e di Roma / fiero dai pace al Tevere fremente». «Il biondo eroe» Vi era poi una canzone dedicata a Roberto, il «biondo eroe» figlio di Margherita Sarfatti. La sua giovane vita, era stata spezzata nella Grande Guerra, durante un assalto sul Col d’Echele, sull’altopiano di Asiago: «Avanti c’è Sarfatti / che affronta la bufera / carponi tra gli anfratti / la via a tutti fa / Zitti zitti i fantaccini / s’inginocchian sull’Echele / che par l’angel San Michele». La contessa Pallastrelli morì il 28 luglio 1944 e riposa, accanto al marito, nel camposanto del paese. Dopo la morte della coppia, in mancanza di eredi, Villa Monteverde andò alla fedele cameriera, che subito la vendette. A Castell’Arquato, forse per rispetto verso la figura del conte Ettore, pochi sono disposti a giurare che la relazione tra Giannina e Benito fosse andata oltre la «fraterna amicizia». Però molti ricordano che la figlia primogenita del Duce, Edda, veniva spesso nel borgo, ospite nella villa dei Pallastrelli. Una semplice coincidenza? Difficile crederlo. Roberto Festorazzi