Lega al verde
Giordano: Maroni e Bossi? I leghisti ce l'hanno duro, ma solo tra di loro
Ma che malinconia il tramonto della Lega. Che tristezza vedere il movimento che sprigionava forza ed energia vitali ripiegarsi su questa squallida fine impero. Una volta c’erano Carrocci fumanti e spadoni ardenti di idee, passione e vigore, magari mescolati a tesi strambe, ampolle e riti celtici, ma comunque sempre nutriti di forza genuina. Adesso che rimane? Bossi che attacca Maroni, Maroni che risponde a Bossi. La lite nel corridoio di via Bellerio. Il segretario che toglie i soldi alla badante del fondatore, e anche quelli alla moglie del fondatore. E non sai più nemmeno se scandalizzarti per il fatto che Bossi avesse un appannaggio di 850mila euro l’anno (e sua moglie 200mila per la scuola) o per il fatto che Maroni adesso spiattelli tutto ai giornali. Forse per entrambe le cose. Forse soprattutto scandalizza che la storia dei lumbard, a suo modo esemplare e gloriosa, debba finire in queste beghe da portineria. Che meschinità, che piccolezze: una volta ce l’avevano duro. Adesso, accidenti, sembra che gli sia diventato piuttosto piccino. Dov’è Alberto da Giussano? Perché non torna con la sua lama rotante a far cessare questo strazio? Perché non mette fine ai pettegolezzi da cortile, ai dispettucci da vecchi sodali incattiviti dal tempo, perché non mette a tacere questa petulante baruffa padana? I militanti rimasti si meriterebbero qualcosa di meglio di ciò che sta accadendo. Alle ultime elezioni, in effetti, la Lega ha perso voti, ma ancor più dei voti sembra aver perso se stessa: ci sono stati i diamanti di Belsito, gli investimenti in Tanzania, le performance del Trota, ma ora è persino peggio perché c’è una strana sensazione, come se le ramazze esibite nei comizi del ribaltone, anziché fare pulizia, avessero soltanto sollevato un nuovo polverone. E, polverone dopo polverone, qualcuno riesce ancora a vedere lì in mezzo la vera Lega? Bossiani, maroniani, veneti, lombardi, con Tosi, contro Tosi, per Zaia o per Cota: che importa? Alla fine sembra che in via Bellerio l’unica cosa che davvero trionfa sia la bega da cortile. Di più: siamo arrivati alla piazzata, al «ti taglio i viveri», all’accusa di cambiare le targhette alla porta, agli armadi svuotati con la roba buttata dalla finestra, urla e strepiti, sceneggiate degne di una comare napoletana. E chi l’avrebbe mai detto che i barbari del Nord sarebbero andati a spegnersi dentro una farsa da Pulcinella? Il paradosso è ancora più amaro se si pensa a ciò che è stato questo movimento, al modo in cui irruppe sulla scena politica, alla spallata che diede alle mollezze e ai vizi del passato. Ricordate? Allora i leghisti erano i barbari che affascinavano persino Giorgio Bocca, erano la parte vitale del Paese, l’energia creatrice contro la Roma puttana e distruttrice, la rude forza del cambiamento contro i magheggi da retrobottega oscura o sacrestia. Rappresentavano l’Italia sana, nemica delle chiacchiere, amica del fare. E ora li vedete? Sono lì che discutono all’infinito, pronti ad appiccicarsi per l’assegno di mantenimento, a rinfacciarsi persino le spese per le cure, ricordandosi l’un l’altro patti più o meno indecenti siglati nell’ombra, epurazioni e favoritismi, «Maroni pensa alle poltrone», «Bossi pensa ai soldi», e via con le vendettine trasversali, gli sgambetti da asilo infantile, i panni sporchi lavati sulle pagine dei giornali con tanto di rivelazione di conti della serva e altre piccinerie. C’era una volta un grande progetto, adesso c’è la Lega che perde Treviso e Vicenza, ma si vanta di aver vinto a Trescore Cremasco e Moriago della Battaglia. Con tutto il rispetto di questi ultimi due Comuni, sembra che sia questa la dimensione della Lega oggi: piccola piccola. Nell’animo, ancor prima che nel consenso. Ed è un vero problema perché la questione settentrionale, al contrario, resta enorme, forse ancor più di prima: c’è un pezzo d’Italia che produce e non viene ascoltata, che lavora e non viene aiutata, che si carica sulle spalle il Paese e viene regolarmente bastonata. Chi rappresenta, ora, quest’Italia? I grillini avevano illuso qualcuno, soprattutto in Veneto: si sono dimostrati un fuoco di paglia. Il Pd è lontano anni luce. Il Pdl, a dispetto del suo fondatore, ormai è un partito nazionale con prevalenza centro-meridionale. E la Lega è inchiodata da mesi nella palude delle sue meschinità, liti, divisioni, ripicche e altre nefandezze, e sembra incapace di trovare la forza di un colpo d’ala, uno scarto, un salto in avanti o, almeno, fuori dallo scontro sull’appannaggio di Bossi o sulle poltrone di Maroni. Ed è questo il vero dramma: loro, i lumbard, sono nati proprio per ciò, per difendere il Nord, ma non ci riescono, non ce la fanno più, si disperdono in ripetuti e inutili Consigli federali, che dispetto dopo dispetto, bisticcio dopo bisticcio, appaiono sempre più vicini alle riunioni di condominio. E, purtroppo, sempre più lontani da un pezzo d’Italia che, nel frattempo, silenziosamente muore. di Mario Giordano